Happiness

2010/04/01 Type of resource Film cards Topics Family relationships Sexuality Titles Rassegne filmografiche

di Todd Solondz

(USA, 1998)

SINOSSI

New Jersey. Le vite quotidiane, celate dietro una patina di apparente normalità, di alcuni problematici personaggi. Joy Jordan è un’insicura ragazza che passa da una disillusione all’altra cercando pervicacemente l’amore della sua vita. La sua famiglia è formata dal padre Lenny, che decide dopo quarant’anni di matrimonio di lasciare la moglie Mona, ipertesa ed instabile, per vivere una seconda giovinezza. Joy ha due sorelle, Helen e Trish. La prima è un’apprezzata scrittrice di romanzi a sfondo sessuale che ad un certo punto si accorge di scrivere pagine superficiali perché non ha subito il trauma dello stupro in tenera età, ed allora accetta il gioco del vicino represso Allen, il quale la molesta con telefonate anonime e scurrili. L’altra sorella, Trish, illusa e mediocre, è l’inconsapevole moglie di Bill Maplewood, uno psicologo pedofilo. Questi, nonostante la dolcezza e l’equilibrio dimostrati a più riprese, adesca gli amichetti del figlio Billy e li violenta, assecondando la sua terribile pulsione. Scoperta la spaventosa malattia dell’uomo, Trish scappa di casa. Billy Maplewood ha invece il grave complesso di essere inferiore rispetto ai suoi compagni perché non riesce ad eiaculare. Joy, intanto, pensa di aver trovato l’amore della sua vita in Vlad, un immigrato russo con il quale ha un rapporto sessuale, ma l’uomo, oltre ad essere già impegnato sentimentalmente, si dimostra un approfittatore. Helen, dal canto suo, abbandonata l’ipotesi di farsi stuprare dal suo molestatore, pensa di presentare Allen alla sorella Joy.

Presentazione critica

Tutto in Happiness trova la sua necessaria saturazione in un curioso atteggiamento contrario: già il titolo prelude ad uno stato d’animo che i personaggi rincorrono alacremente, ma che non riescono, nonostante gli sforzi, a tradurre in realtà, vuoi per manifesta incapacità, vuoi per frustrazione congenita, vuoi anche perché, forse, la felicità non è di questo mondo né di questa società. Il marcio alligna in quel del New Jersey dietro una patina di perbenista e ipocritamente borghese normalità. Tutti si sforzano, nessuno raggiunge il risultato, ad ognuno la sua personale paranoia, uno dei motivi ricorrenti del cinema americano contemporaneo. Un’intera società è in crisi nella piena illusione di non esserlo: Joy Jordan è l’emblema di questa condizione generalizzata, cerca l’amore perfetto, ma incorre sempre in personaggi discutibili che incocciano con la sua ipersensibilità e i suoi mastodontici complessi. Ed ecco, quindi, che il significato del suo nome si trasforma in una speranza frustrante più che in sardonica ironia. Solondz è più beffardo che ironico, si diverte di più ad esercitare la sua mordace crudeltà nei confronti dello spettatore che a rappresentare con pungente sarcasmo i difetti della classe media americana. Tutto è edulcorato, splendente, levigato, ma niente è come dovrebbe veramente essere. O, forse più tristemente, tutto viene descritto come è realmente. Famiglie apparentemente felici, gente di successo, rispettabilità e, sul piano esclusivamente stilistico, inquadrature intense e melense (da perfetta commedia in cui tutto-è-perfettamente-al-suo-posto), musica romantica atta a commentare una situazione idilliaca altro non sono che l’ennesima beffa che Solondz realizza per parlare di un mondo ‘fuori dai cardini’, in cui anche l’infanzia diventa strumento di perversione. Billy Maplewood ha un grosso problema: si sente complessato perché, pur provando a ripetizione, non riesce ad eiaculare, cosa che invece i suoi compagni di scuola fanno tranquillamente. Il padre, che di mestiere fa lo psicologo, ascolta il problema del figlio e si offre più volte di mostrargli attivamente le modalità per risolvere il problema. Qualcosa evidentemente non funziona e lo spettatore lo avverte, ma la messa in scena accurata di Solondz, la meticolosità nella cura dell’ambiente (rassicurante, elegante, confortevole), la fotografia levigata e il taglio calibrato delle inquadrature dimostrano il contrario. In questa precisa presa di posizione del regista risieda la ‘cattiveria’ di questo modo di fare cinema: far germinare il marcio all’interno della piena rispettabilità formale. Bill Maplewood, il padre di Billy, in realtà, non è un amorevole genitore alla ricerca della giusta soluzione per i problemi del figlio, ma un pedofilo schiavo della pulsionalità generatagli dalla giovinezza della carne. Ma Solondz, nonostante la scabrosità della materia trattata, si diverte sadicamente: Maplewood sr. vede l’amichetto di Billy, Johnny, mentre gioca a baseball e le modalità linguistiche che rappresentano l’incontro sono assolutamente sintomatiche del gioco messo in mostra dal regista: un piano ravvicinato di Maplewood sr. mostra la sua alterazione di fronte all’oggetto della visione, il piano successivo concentra l’attenzione dell’individuo sulla singola figura dell’efebico fanciullo, inquadratura che fornisce una connotazione quasi sentimentale allo sguardo dello psicologo. Il successivo adescamento domestico di Maplewood nei confronti dell’ignaro Johnny ha una caratterizzazione grottesca per il modo con cui l’uomo cerca di realizzarla (del narcotico nel sandwich al tonno che il bambino, in un primo momento, non ha alcuna voglia di mangiare), ma la conseguente violenza è cancellata dalla narrazione. La mattina è segnalata con un’inquadratura della villa immersa nel verde dei Maplewood in una radiosa giornata di sole. L’uomo e la moglie sono teneramente abbracciati nel letto. Nessuna traccia della bruttura notturna. Lo spettatore suppone, non sa con certezza. Solo dopo si apprende che qualcosa di orrendo è avvenuto, ma la terribile situazione è svuotata da ogni connotazione tragica per assumere una valenza disgustosa, malata, orridamente perversa, addirittura ipocrita per l’apparente normalità che personaggi e forma stilistica propongono. Un atto tremendo viene transitivamente proposto nella sua veste di annichilente squallore. In un panorama così desolante di frustrazione e patetica ipocrisia, alla fine, risulta vincitore il povero Billy che vedeva il suo problema come qualcosa di assolutamente insormontabile: finalmente riesce ad eiaculare sul terrazzo mentre la famiglia Jordan è riunita al completo. È lui l’unico vincitore, perché è l’unico a raggiungere uno scopo e ad ammetterlo candidamente, anche se la famiglia, persa nelle sue problematiche frustrazioni, in realtà, ancora una volta non lo comprende. Giampiero Frasca    

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