Festen-Festa in famiglia

di Thomas Vinterberg

(Danimarca, 1998)

Sinossi

In occasione del sessantesimo compleanno del capofamiglia Helge, i Klingenfeldt si riuniscono in un grande albergo di loro proprietà nella campagna danese per festeggiare con parenti e amici. Sono passati solo due mesi dalla morte per suicidio della figlia maggiore Linda, gemella di Christian (proprietario di alcuni ristoranti a Parigi) che, insieme al fratello Michael (rissoso gestore di una trattoria a Copenaghen con moglie e figli al seguito) e alla sorella Helene (svampita studentessa di antropologia), raggiunge la lussuosa magione in tempo per ricevere gli invitati al banchetto. I commensali prendono posto attorno alla grande tavola imbandita per gustare le pietanze preparate e servite dalla servitù, il tutto in un’atmosfera ambigua e inquietante. Ad essere turbati sono soprattutto Helene, che ha trovato nella sua camera (la stessa in cui si è suicidata la sorella) l’ultima lettera di Linda, e Christian che, con l’occasione del primo brindisi, rivela che suo padre era solito abusare sessualmente di lui e della sua gemella defunta. Superato un primo momento di stupore e imbarazzo, gli invitati riprendono il pranzo, tranquillizzati da Helge che, scusandosi, ricorda loro i gravi problemi psichici avuti in passato dal figlio. Christian decide di abbandonare la festa ma lo chef dell’albergo, suo amico d’infanzia, lo convince a restare e ad andare fino in fondo. Ritornato a tavola, Christian chiede nuovamente la parola: sembra volersi scusare, ma invece rinnova le sue accuse coinvolgendo anche la madre, colpevole di non aver agito pur sapendo. A questo punto Michael, che è vissuto sempre lontano da casa ed è all’oscuro di tutto, aiutato da altri due commensali, conduce Christian nel bosco e qui lo lega ad un albero. Intanto gli ospiti, scossi dall’accaduto, vorrebbero andare via: ma non possono perché Pia (un’impiegata dell’albergo innamorata di Christian) e le altre cameriere hanno rubato le chiavi delle automobili. La cena riprende ma all’insegna di un’euforia alcolica che non lascia presagire nulla di buono: Helene, che ha collegato il suicidio della sorella alle rivelazioni di Christian, non può più tacere e legge pubblicamente la lettera trovata poco prima. Di fronte all’evidenza, Helge è costretto ad ammettere le proprie colpe. La festa degenera e la compagnia si disgrega in vari gruppi: Michael, rimasto solo con il padre, vorrebbe malmenarlo e umiliarlo, ma i fratelli lo fermano. L’indomani mattina gli ospiti sono riuniti per la colazione: Helge ammette le proprie colpe pubblicamente e annuncia che quella è l’ultima volta in cui vedrà figli e nipoti.

Intruduzione al Film

Dogmi relativi

Nato sotto l’egida del manifesto artistico-ideologico “Dogma 95” (una sorta di “voto di castità” che impone ai registi che l’hanno sottoscritto di evitare l’uso di accorgimenti e dispositivi che non siano strettamente necessari a riprendere l’azione nella sua cruda essenzialità), Festen di Thomas Vinterberg è caratterizzato da uno stile convulso, instabile e destabilizzante (tutte le riprese sono effettuate con la videocamera a mano, il sonoro è in presa diretta, gli ambienti sono illuminati dalla luce naturale). Uno stile che riesce a trasmettere il senso di precarietà e di confusione di una celebrazione familiare apparentemente festosa che, in realtà, rischia continuamente di sfuggire di mano ai suoi partecipanti, il turbamento dei personaggi di fronte all’oscenità di una rivelazione inattesa, che rompe ogni formalismo, ogni regola sociale secondo cui “i panni sporchi si lavano in casa”. Al tempo stesso, tuttavia, quasi a voler contraddire il suo stile informe e apparentemente improvvisato (in realtà abilmente calcolato) il film si struttura sotto molti punti di vista come una tragedia di stampo classico. Si pensi, anzitutto, al rispetto dell’unità di tempo (tutto avviene nell’arco di ventiquattro ore), di luogo (il grande albergo che, con i suoi saloni è simile a un palazzo, una sorta di roccaforte nella quale barricarsi o dalla quale decidere di non far uscire nessuno), di azione (a parte alcune trascurabili digressioni, tutto mira a far convergere gli eventi verso la soluzione finale). Come nella più classica delle vicende tragiche, ad essere messo in discussione è un re o un patriarca – il potere incarnato – a proposito del quale emerge un tremendo segreto che ne provocherà la caduta e, al tempo stesso, una guerra che metterà uno contro l’altro i fratelli. Volendo essere più precisi, il genere di dramma al quale più si avvicina Festen è quello shakespeariano: analoga è l’alternanza di vicende tragiche e avvenimenti agghiaccianti con intermezzi comici o grotteschi, il tutto a comporre un mosaico surreale di emozioni (si pensi al montaggio alternato che ci mostra Helena sconvolta dal rinvenimento della lettera di Linda, Michael e la moglie mentre discutono animatamente in un’altra camera e Christian che riceve l’offerta di un amplesso da una delle cameriere in un’altra ancora). Non manca, inoltre, la partecipazione all’azione di numerosi personaggi secondari (i commensali) o appartenenti ad ambienti sociali diversi da quello degli eroi (cameriere e cuochi) che commentano gli eventi e, spesso, muovendosi dietro le quinte, coadiuvano o contrastano l’azione di questa o quella fazione. Infine, le abituali presenze di spiriti e fantasmi che, in questo caso non vengono ovviamente evocati realisticamente ma sono comunque “sulla scena”: fantasmi metaforici (gli orrori del passato, la malattia e il disturbo mentale che alberga nelle menti di molti membri della famiglia) e lo spettro della sorella morta suicida la cui lettera sarà determinante per la soluzione della tragedia. Tutto ciò per dimostrare che, al di là dei tentativi provocatori (e comprensibili) di mettere al bando una certa idea di cinema standardizzata, innocua, istituzionale, nonché della volontà di destabilizzare una certa idea di famiglia in quanto unico irrinunciabile caposaldo sociale, le strutture “classiche” della narrazione fungono da ineludibili palinsesti per costruire dei testi che siano in grado di contestare il sistema (tanto quello cinematografico quanto quello sociale). Del resto il personaggio di Amleto nell’omonima tragedia shakespeariana era danese (come i protagonisti di Festen), proprio lui, forse il primo vero giovane contestatore della storia.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

C’è del marcio in Danimarca

Fanny e Alexander, l’ultimo film girato per il cinema dal grande regista svedese Ingmar Bergman, si concludeva con un sontuoso ma al tempo stesso festante e spensierato banchetto per celebrare la ritrovata serenità e unione della grande famiglia Ekdahl. Quello di Fanny e Alexander è solo l’esempio geograficamente e culturalmente più vicino a Festen (che ne cita direttamente una scena nella sequenza della processione festante di parenti che attraversa la casa a lume di candela) tra le tantissime pellicole che sono riuscite a raccontare storie di famiglie (spesso numerosissime e composite) attraverso la rappresentazione del momento in cui tutti i suoi membri, volenti o nolenti, si ritrovano seduti attorno alla stessa tavola in un confronto di caratteri, idee, ricordi, affetti. Ma se le feste e i banchetti del capolavoro bergmaniano riuscivano a narrare con rara grazia il miracolo di un equilibrio familiare perfetto, il film di Thomas Vinterberg fa parte di quella schiera di film (sicuramente molto più numerosi) che raccontano come, dietro i rituali borghesi, spesso privati dai loro significati originari, vuote forme dell’apparenza lontane dalla concretezza della vita, si celi la necessità di nascondere la realtà di rapporti affettivi logorati dal tempo, dai problemi contingenti, spesso dalla stessa fatica di tenere uniti a tutti i costi i membri della famiglia. Festen va molto più in là: l’occasione formale della festa di famiglia, allargata anche ai parenti meno stretti invitati a festeggiare il compleanno del patriarca, diviene per sua stessa natura il momento in cui rivelare il segreto più intimo e al tempo stesso terribilmente osceno del nucleo familiare. La circostanza in cui l’unità del gruppo viene celebrata per uscirne rafforzata (e che si tratti di una sorta di tribù lo conferma l’allusione all’affiliazione del figlio minore alla massoneria) diviene, allo stesso tempo, quella scelta per tirare fuori tutto il marcio che si nasconde dietro le convenzioni, per rivelare ciò che alcuni hanno sempre saputo (e che molti hanno immaginato) ma non hanno mai avuto il coraggio di denunciare. La reazione dei commensali che in un primo momento, decidono unanimemente di ignorare le accuse rivolte da Christian al padre è una sorta di meccanismo di autoconservazione che impone ai membri della famiglia di ignorare gli elementi eversivi provenienti dall’esterno. Un atteggiamento che riflette, in modo grottesco, ciò che spesso accade nelle famiglie in cui un membro adulto (solitamente il padre o uno dei fratelli maggiori) abusa di un minore: un po’ quello che ha sempre fatto la madre di Christian girando la testa dall’altra parte, fingendo di non aver visto ciò che quotidianamente si consumava sotto i suoi occhi. Il suicidio di Linda, la decisione di Christian, la reazione di Michael si inquadrano, così, all’interno della medesima dinamica: quello della sorella maggiore, oltre ad essere un gesto dettato dalla disperazione per il continuo “ritornare” (anche in sogno) dell’immagine del padre che abusa di lei, sembra porsi anche come un tentativo di sradicare definitivamente una radice del male divenuta fin troppo vigorosa; Christian decide di raccogliere il testimone passatogli dalla sorella (non a caso gemella) e di demolire pubblicamente quell’immagine falsa (il grande imprenditore, il patriarca “generoso”, oltre che con figli e nipoti, anche con i propri dipendenti, considerati una seconda famiglia) dietro cui il padre ha sempre nascosto i suoi crimini; Michael, invece, è il ritratto di un figlio insicuro, cresciuto all’ombra di un padre temuto ed ammirato (o meglio, temuto perché ammirato e ammirato perché temuto) che, una volta scoperto il tremendo segreto, assiste impotente non solo al crollo dell’ immagine del genitore, ma anche a quello delle proprie certezze, costruite tutte a partire da quell’immagine. Girato, come ha affermato qualcuno, con lo stile di un filmino domestico e dunque percepito dagli spettatori con quel valore di evidenza e indiscutibilità che, di solito, si assegnano a questo genere di (auto)produzioni, Festen è quanto di meno “domestico” possa esserci: rivela come, la forza delle convenzioni sociali (e ancor più di quelle familiari) risponda a logiche tribali e purtroppo, a volte, soggiaccia ad istinti animaleschi che è inutile e fuorviante ignorare.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Difficile trovare qualcosa che si possa anche soltanto avvicinare al potenziale dissacratorio e demistificante di Festen: probabilmente solo un film come il celebre I pugni in tasca di Marco Bellocchio è riuscito a portare in primo piano con altrettanta forza espressiva il tema della famiglia come dimensione malata e corrotta. Sul piano delle dinamiche interne alle famiglie in cui un membro adulto abusa di un minore, ritroviamo molte analogie in un altro film straordinariamente intenso anche se molto diverso da quello di Vinterberg: Zona di guerra dell’attore-regista Tim Roth, nel quale un padre abusa della figlia adolescente all’insaputa della moglie e di fronte all’altro figlio quindicenne incapace di decidere se denunciare o meno il padre. Come ritratto di una serie di adulti segnati profondamente dall’esperienza dell’abuso sessuale, il film può essere accostato a Mystic River di Clint Eastwood. Fabrizio Colamartino  

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