Alcol: i genitori spesso ignorano l'allarme

2009/08/05

Dal Corriere della Sera del 5 agosto proponiamo un'intervista a Raffaella Rossin, presidente della sezione lombarda della Società italiana di alcologia, che ripropone l'importanza di una corretta educazione al bere soprattutto in ambito familiare. La lotta all'abuso di alcol da parte dei minori è il tema dell'estate sui giornali.

Dopo le prime multe comminate a minorenni ubriachi nelle città che hanno adottato ordinanze repressive, l'episodio della diciottenne finita in coma etilico durante una festa “galleggiante” nelle acque di Panarea ripropone quanto già evidenziato dagli esperti che si occupano del problema delle dipendenze: le proibizioni possono servire, ma non bastano e gli adulti devono impegnarsi per costruire nuovi argini e affiancare i ragazzi, proponendo anche modelli culturali alternativi rispetto a quelli "venduti" da pubblicità e televisione.

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«Ma i genitori spesso ignorano l'allarme»

MILANO — «È molto importante che si cominci a parlare del problema del "bere giovanile" scollegato dal sabato sera. Ormai dovrebbe essere chiaro che i ragazzi bevono tanto in molti momenti, che per loro sono ricreativi, amicali o di festa». E ancora: «I genitori dovrebbero preoccuparsi di capire il perché di queste "fughe alcoliche", ma spesso invece è proprio in famiglia che ai giovani viene trasmesso il messaggio che l'alcol non è una sostanza pericolosa, che non fa male, che una sbronza in fondo l'abbiamo presa tutti...». È proprio ai genitori che si rivolge la dottoressa Raffaella Rossin, presidentessa della sezione lombarda della Società italiana alcologia.

«I messaggi da parte degli adulti – dice – devono essere diversi. Ai ragazzi va spiegato che se si vuole bere lo si fa dai 18 anni in avanti, e che in ogni caso bisogna fare attenzione perché l'alcol è una sostanza da trattare con cautela, pericolosa come una droga. Dovremmo insegnargli a comportarsi con la bottiglia come si fa con il gas o con la corrente elettrica. Insomma, considerato che l'adolescenza è una fase della vita in cui si corrono dei rischi, occorre dare a chi la attraversa gli strumenti necessari a rischiare in modo non scellerato». I dati, per ora, non fotografano una situazione di allarme grave: «La percentuale di ragazzi che rischia di diventare dipendente da alcol aumenta, ma per fortuna non è ancora drammatica».

Per evitare che lo diventi bisogna intervenire subito: «I media, gli esperti, chi fa pubblicità, tutti dovrebbero impegnarsi per fare in modo che il livello di rischio non si alzi. I giovani hanno sempre alcol sottomano, quindi dobbiamo avvisarli dei rischi». Anche perché i messaggi fuorvianti sono molti: «Un tempo la nostra cultura era soprattutto quella del vino. Ma a parte il fatto che essere i secondi produttori al mondo di vino non deve diventare una scusa per non tutelare i giovani, oggi il problema è molto più complesso: ci sono tante bevande alcoliche pubblicizzate in modo convincente che hanno gradazione anche alta e che i giovani mischiano con la frutta, per esempio la vodka; oppure che sono commercializzate come "bevande giovani", penso ai breezer, ma contengono alcol. Di fronte a tutto questo è decisivo che gli adulti riescano a fare delle differenze e a costruire degli argini».

Come? «Intanto informandosi. Chi ha in casa un ragazzo che ha avuto problemi con l'alcol può venire a chiedere consigli ai servizi di alcologia, per sapere come agire. Un'altra cosa utile è visitare assieme ai propri figli una cantina dove si produce vino: parlare con chi lo fa, conoscere questa bevanda assieme ai ragazzi, e imparare come consumarla».
Mario Porqueddu