La mia vita a quattro zampe

2009/07/20 Type of resource Film cards Topics Family relationships Titles Rassegne filmografiche

di Lasse Hallström

(Svezia, 1985)

Sinossi

Svezia, anni Cinquanta. Ingemar ha circa dieci anni e vive con il fratello maggiore Erik, la cagnetta Ziga e la madre, malata di tubercolosi. Incapace di badare ai figli, la donna decide di mandare Ingemar in vacanza presso gli zii Gunnar e Ulla che vivono in un villaggio. Qui la vita è completamente diversa da quella che il bambino ha conosciuto finora: lo zio Gunnar è un buontempone e, per hobby, allena la squadra di calcio giovanile del luogo; Saga, una bambina che cerca di mascherare la propria acerba femminilità per giocare a calcio e tirare di boxe, diviene la sua migliore amica; Berit, la più bella ragazza del villaggio, gli chiede di accompagnarla quando va a posare nuda per uno scultore. L’estate passa in fretta e Ingemar torna a casa: sua madre, tuttavia, sta sempre peggio e, dopo un breve ricovero in ospedale, muore. Il bambino si trasferisce definitivamente dagli zii: dovrà fare i conti con il proprio immotivato senso di colpa per la morte della madre e per aver dovuto abbandonare la sua cagnetta in città. Ad aiutarlo a superare la crisi saranno le cure affettuose degli zii e l’amore di Saga che, ormai, non può più nascondere la propria femminilità.

Presentazione Critica

Due mondi contrapposti si offrono all’esperienza di Ingemar e allo sguardo dello spettatore in La mia vita a quattro zampe: quello triste, frustrante e realistico della vita con la madre, l’altro spensierato, libero e grottesco del villaggio in cui vivono gli zii. Nel mezzo il protagonista con le proprie riflessioni tramite cui tenta di difendersi dalla realtà soffocante che lo circonda: più volte nel corso del film la voce over interviene con i toni di un monologo attraverso il quale Ingemar cerca dei motivi validi per continuare a sperare. Sorprendentemente, invece di rifugiarsi in un mondo fantastico, alla stregua di tanti suoi sfortunati coetanei del grande schermo, Ingemar sceglie un atteggiamento precocemente maturo: per consolarsi elenca una serie di eventi tragici – alcuni dei quali grotteschi nella loro dinamica – confrontandoli con la triste condizione della sua famiglia. Così, c’è quell’uomo che, dopo aver visto un film di Tarzan, ha scambiato i cavi dell’alta tensione per liane, ma c’è anche quell’altro che, andato fino in America per un trapianto, è diventato famoso e poi è morto lo stesso e, soprattutto, c’è Laika, la cagnetta mandata nello spazio e morta di stenti perché non aveva più provviste (ed è questo l’aneddoto che ricorre più volte nel corso del film). Quella di Ingemar è allora una ‘vita a quattro zampe’ perché il suo punto di vista è quello di chi sa accettare la propria esistenza guardando a coloro che hanno avuto un destino beffardo, dominato dalla fatalità. La realtà, quella realtà spicciola cui nonostante tutto Ingemar rimane aggrappato con questa sua filosofia pessimistica che si ispira alla cronaca minore, sembra, tuttavia, riuscire a compensare una situazione familiare difficile e a ripagare il senso di perdita causato dalla morte della madre attraverso una serie di esperienze tendenti a risarcirlo: il villaggio, i suoi abitanti, l’atmosfera che vi si respira, si oppongono in modo speculare all’esistenza sfortunata del protagonista e alle sue tristi riflessioni. Lo zio Gunnar, gioviale e spensierato, sempre a caccia di nuove avventure sentimentali ma, in fondo, profondamente innamorato di sua moglie Ulla – un personaggio che ricorda quello dello zio Gustav in Fanny e Alexander, ultimo film di Ingmar Bergman, di soli due anni precedente a La mia vita a quattro zampe – va a fare le veci di una figura paterna che Ingemar non ha mai conosciuto. La prosperosa e vitale Berit quella di una madre da troppo tempo malata e sofferente che vive ormai soltanto in un ricordo nostalgico e sbiadito: durante una delle sedute di Berit presso lo scultore – che sta lavorando, non a caso, a una statua sulla maternità – Ingemar cade in braccio alla donna che sembra accoglierlo, nuda e a braccia aperte, simbolo essa stessa di una rinascita del bambino a una nuova vita. È il ribaltamento definitivo delle riflessioni di Ingemar sulla morte: l’evento, che facilmente avrebbe potuto trasformarsi in tragedia – il protagonista, arrampicatosi sul tetto dello studio sfonda i vetri di un lucernario e cade da diversi metri di altezza – aggiungendosi, così alla serie infinita di cronache minori narrate dal bambino nel corso del film, si trasforma in un aneddoto da raccontare in giro gioiosamente. Il continuo richiamo a una sessualità solare e spensierata di questi due personaggi – Gunnar e Berit – fa dunque da contraltare all’atmosfera di cupa infelicità in cui Ingemar ha vissuto fino a poco prima. Allo stesso modo, le avances di Saga – forse il personaggio più riuscito di tutto il film – nei confronti del protagonista vanno a compensare una visione del sesso frustrante e limitata, quella di suo fratello Erik che, per spiegare ad alcuni suoi amici la dinamica di un atto sessuale aveva costretto Ingemar a simulare un amplesso con una bottiglia. A metà strada tra i Quattrocento colpi (per la parte del film che si svolge in città) e Amarcord (per la dimensione grottesca delle situazioni e dei personaggi del villaggio), questo primo film di Lasse Hallström presenta due caratteristiche apparentemente opposte che, nel corso della sua carriera, il regista continuerà a riproporre attraverso i propri film: malinconia e fiducia nella vita, pessimismo e tensione verso il futuro sono la chiave del successo anche di Buon compleanno Mr Grape e di Le regole della casa del sidro. Rispetto a questi ultimi due, tuttavia, la dimensione ingenua di La mia vita a quattro zampe è quella attraverso cui Hallström è riuscito a comunicare meglio questa sua particolare visione della vita. Fabrizio Colamartino  

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