L'isola

2009/07/20 Type of resource Film cards Topics Families and family relationships Titles Rassegne filmografiche

di Costanza Quatriglio

(Italia, 2003)

Sinossi

Il quindicenne Turi e sua sorella Teresa, di dieci anni, sono figli di uno dei pescatori che vivono sull’isola di Favignana, all’estremo confine occidentale della Sicilia. Quanto Teresa ha un carattere estroverso ed espansivo, tanto Turi ha un temperamento chiuso e introverso che ne fa un solitario, sempre in rotta di collisione con il padre che già lo vede succedergli nel suo mestiere. Pur continuando a seguire il genitore in mare, il ragazzo non ha intenzione di legare la propria esistenza alla pesca, mentre gli piacerebbe molto diventare marinaio; sua sorella Teresa, invece, vorrebbe seguire le orme paterne e fare il “tonnaroto”, ovvero pescare con gli altri uomini che ogni anno organizzano la tonnara, come vuole la tradizione secolare dell’isola. Ma Teresa non è soltanto un “maschiaccio”: è anche legata all’anziana nonna nonché al nonno pescatore, morto in mare, che non ha mai conosciuto ma al quale si rivolge ogni volta che esprime un desiderio. I dissidi tra Turi e il padre aumentano con l’estate quando sull’isola arriva Margherita, una sua coetanea. Il ragazzo è distratto, manca agli appuntamenti con il genitore e, soprattutto, litiga continuamente con Leonardo, un ragazzo che lavora stabilmente sulla barca del padre: non sono solo le attenzioni di Margherita a distrarlo ma anche la gelosia per Leonardo che si è messo a fare la corte a Teresa. A restituire tutte queste piccole diatribe alla loro dimensione reale sarà un rituale che la famiglia di Turi e Teresa esegue per commemorare il nonno: una statua di tufo, coperta di reti da pesca, viene spinta a largo su una barca e fatta posare sul fondo del mare. In autunno Turi riuscirà finalmente a coronare il suo sogno e a diventare marinaio sul traghetto che unisce l’isola alla terraferma.

Analisi

La lunga esperienza di documentarista di Costanza Quatriglio emerge nella stessa scelta di ambientare il suo film all’interno di una realtà circoscritta (un’isola, appunto) della quale la regista si serve utilizzando tutti gli elementi messi a sua disposizione dalla popolazione, dalle attività umane, dall’ambiente, secondo un approccio che potremmo definire “ecologico”. Il mare, la pesca, la campagna, l’attività di estrazione del tufo, le difficoltà tipiche della vita su un’isola sono i tasselli attraverso cui la regista siciliana mette in scena il suo racconto, aggiungendo poco altro: un’esile struttura narrativa, per altro plausibilissima, un racconto articolato per sottrazione, che si giova di pochi elementi significativi, di alcune figure dal valore simbolico (il carcerato interpretato dallo scrittore Erri De Luca, evidente allusione allo stato di prigionia comune a tutti gli abitanti di Favignana; il vecchio scultore un po’ matto che fa la corte alla nonna di Teresa e che incarna il “deus ex machina” del poetico finale) ma anche della spontaneità e soprattutto del pudore dei suoi interpreti, specie dei più giovani. Abituata a scavare nella realtà soprattutto facendo parlare i protagonisti dei suoi documentari, mettendo loro a disposizione la macchina da presa e soprattutto il suo microfono, nel suo (per ora) unico film a soggetto la Quatriglio affida buona parte della riuscita del lavoro alle immagini della natura, che in un contesto come quello dell’isola siciliana sono indissolubilmente legate a quelle dell’uomo (e, naturalmente, viceversa) per trasmettere allo spettatore il senso di una serie di esistenze in boccio troppo legate ad un luogo su cui grava un passato secolare, anzi millenario, difficile da eludere. Così si spiegano anche i caratteri opposti dati ai due protagonisti, e non solo a partire dalla ricerca di originalità a tutti i costi nel tracciarne i profili, estroverso e sicuro di sé quello di Teresa, timido e impacciato quello di Turi, in un capovolgimento (alquanto banale, se fosse così) degli stereotipi sui ragazzini e sulle ragazzine del Sud (si veda, a tal proposito, ècosaimale? della stessa regista). Teresa è ancora in quella fase della vita in cui l’adesione ad un modello, specie se questo è condiviso da un’intera comunità ed è incarnato da uno dei genitori, è cosa spontanea, naturale, necessaria. La sua identità dipende in tutto e per tutto da questa coincidenza tra la propria immagine (diventare pescatore, “tonnaroto”) che, per quanto sia distante dalla realtà di bambina e di futura donna, viene vagheggiata e proiettata nel futuro e una tradizione radicata e solennemente celebrata da tutti attraverso una sorta di rituale affascinante (la mattanza) del quale la piccola vede probabilmente solo i contorni senza essere consapevole dei rischi, della fatica, della cruenza ad esso legati. Allo stesso modo, per lei che è poco più che una bambina, non ancora adolescente, le attenzioni di Leonardo nei suoi confronti (dosate con estrema delicatezza dalla regista) sono poco più che un gioco innocente che non allude ad altro. Turi, al contrario, nell’atteggiamento tenuto dell’amico-rivale nei confronti della sorella vede tutto ciò che prova nei confronti di Margherita: sentimenti, attrazione, desiderio, una serie di emozioni che vanno ben al di là del gioco e che lo spingono prima a entrare in conflitto con Leonardo e poi a cedergli Margherita. Analogamente, nel suo rapporto con il padre, il ragazzo cerca non l’identificazione attraverso l’adesione ad un modello (che, malgrado tutto, non contesta), ma per contrapposizione ad esso. Turi cerca una conferma della propria identità, poco appariscente, votata all’introspezione, creando una distanza tra se stesso e la realtà dell’isola, troppo vincolante per chi, come lui, non ha una personalità dalle caratteristiche così spiccate e originali. Non per niente, al termine del film lo troviamo, finalmente soddisfatto, impiegato come marinaio sul traghetto che unisce l’isola alla terraferma (che, paradossalmente, è un’altra isola, solo un po’ più grande, in una giusta prospettiva relativizzante, capace di dare ad ogni dimensione le giuste proporzioni), un “non luogo” sospeso tra due territori che per lui rappresentano gli estremi della propria incerta identità: da un lato le certezze della casa, della famiglia, della tradizione, dall’altro le possibilità offerte dal lavoro, la (relativa) libertà, gli incontri con i viaggiatori. La condizione di partenza di Turi è, in fondo, simile a quella di Arturo, il protagonista del celebre romanzo di Elsa Morante L’isola di Arturo: per entrambi l’isola rappresenta il legame con il mito, le certezze rappresentate dall’illusione infantile che tutto possa restare così com’è, immutato. Ma se per Arturo la delusione per la caduta del mito, soprattutto di quello paterno, sarà cocente, Turi ha fin da principio un atteggiamento disilluso verso la vita, sembra non aspettarsi nulla di più di ciò che quella realtà per lui prosaica e quotidiana può offrirgli. Dopo le tante immersioni in realtà quasi sempre degradate, spesso drammatiche, con L’isola la regista sembra volersi concedere, attraverso una favola, la possibilità di raccontare con la massima libertà una dimensione fuori dal tempo dove le scelte dei suoi giovani protagonisti siano legate il meno possibile alla contingenza della realtà. Sceglie un contesto duro, difficile ma saldo nei suoi principi, all’interno del quale le scelte non siano quelle obbligate, necessarie compiute altrove, negli altri luoghi toccati dal suo cinema, dai coetanei dei due protagonisti le cui fughe, spesso disperate, sono ben diverse da quella di Turi. Fabrizio Colamartino  

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