Maternità in Italia 2022, rapporto Save the Children

Solo poco più di un contratto a tempo indeterminato su dieci tra quelli attivati nel primo semestre 2021 è a favore delle donne. Nel solo 2020, inoltre, sono state più di 30mila le madri che hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari anche perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi, come gli asili nido. Il nuovo rapporto di Save the Children Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022 mette in luce la situazione di grande svantaggio in cui si trovano le donne con figli nel nostro Paese, aggravata dalle conseguenze della pandemia da Covid-19.

Secondo i dati Istat riportati nella pubblicazione, nel 2021 il tasso di natalità segna l’ennesimo minimo storico dall’Unità d’Italia. I nuovi nati, infatti, calano al di sotto della soglia dei 400mila (399.431), in diminuzione dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008.

Il rapporto traccia un quadro molto complesso, in cui le mamme sono alla continua ricerca di un equilibrio tra vita familiare e lavorativa, spesso senza supporto e con un carico di cura importante, aumentato negli ultimi anni a causa della pandemia.

«Lo scenario delineato dai dati – si legge nel sito di Save the Children - indica un mancato sostegno pubblico alle mamme che affonda le sue radici nelle pesanti disparità di genere in Italia che prescindono dalla decisione delle donne di avere dei figli. Per le diplomate, ad esempio, i salari sono sistematicamente inferiori e il divario di genere tende ad aumentare nel tempo».

Anche la lieve ripresa economica dello scorso anno è caratterizzata da ingiustizie di genere: delle 267.775 trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato del primo semestre 2021, solo il 38% riguarda donne. Se si guarda il numero totale di attivazioni contrattuali (sul totale di tutte le attivazioni) nel primo semestre per le donne (poco più di 1,3 milioni), la maggior parte (38,1%) è a tempo determinato; seguono il lavoro stagionale (17,7%), la somministrazione (15,3%) e, solo per ultimo, l’indeterminato (14,5%). Per contro, degli oltre 2 milioni di contratti attivati per gli uomini, quasi la metà (il 44,4%) è a tempo determinato, subito seguito dall’indeterminato (il 18%).

Secondo quanto evidenziato dal rapporto, il 42,6% delle donne con figli nella fascia d’età 25-54 risulta non occupata, con uno divario rispetto agli uomini di più di 30 punti percentuali. Il dato cambia notevolmente a seconda delle aree del Paese, arrivando a sfiorare il picco del 62,6% nel Mezzogiorno, seguito dal 35,8% al Centro e dal 29,8% al Nord. Inoltre, mentre il tasso di occupazione dei padri tende a crescere all’aumentare del numero di figli minorenni presenti nel nucleo, per contro, quello delle madri tende a diminuire. A fronte del 61% di madri con un figlio minorenne occupate (3 donne su 5), gli uomini nella stessa condizione che hanno un lavoro sono l’88,6%. Il divario aumenta quando entrambi i generi hanno due o più figli minorenni (donne occupate 54,5% a fronte dell’89,1% degli uomini), con una differenza di 34,6 punti.

I dati sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri di bambini di età compresa fra zero e tre anni rivelano che su 42.377 casi nel 2020 il 77,4% riguarda donne. Le lavoratrici madri rappresentano il 77,2% (30.911) del complesso delle dimissioni volontarie, a fronte delle 9.110 dei padri. Sul totale delle motivazioni indicate nelle convalide, quella più frequentemente segnalata continua a essere la difficoltà di conciliazione della vita professionale con le esigenze di cura dei figli.

L’Indice delle Madri, incluso nel rapporto come ogni anno ed elaborato dall’Istat per Save the Children, identifica le Regioni che si impegnano, di più o di meno, a sostenere la maternità in Italia. L’Indice valuta, attraverso 11 indicatori, la condizione delle madri in tre diverse aree: cura, lavoro e servizi.

Anche quest’anno sono le regioni del Nord ad essere più mother friendly, in alcuni casi con valori molto più alti della media nazionale. «Le province autonome di Bolzano e Trento mantengono da varie edizioni, rispettivamente, la prima e la seconda posizione. Dietro le prime due, seguono l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia, la Toscana e la Valle d’Aosta».

Le regioni del Mezzogiorno, invece, si posizionano tutte – insieme al Lazio - al di sotto del valore di riferimento (pari a 100), evidenziando come sia più difficile per le mamme vivere in alcune di queste. Basilicata (19° posto), Calabria (20° posto), Campania (21° posto) e Sicilia (17° posto) si avvicendano da anni nelle ultime posizioni. Quest’anno si affianca loro la Puglia (18° posto), anche se, per tutte le regioni del Mezzogiorno, il trend globale sembra in sensibile miglioramento con un aumento di quattro punti negli ultimi quattro anni.

Il rapporto è disponibile sul sito di Save the Children, nella sezione “Pubblicazioni”.

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