A maggior rischio di dispersione scolastica, poco interessati alla rappresentazione della politica in tv ma attenti alle possibilità aperte dalle nuove tecnologie: sono alcuni degli elementi relativi agli adolescenti italiani che si ricavano dal 45mo Rapporto sulla situazione del Paese , pubblicato dal Censis pubblicato nello scorso mese di dicembre.
L’indagine 2011 dell’istituto di ricerca socio-economica fotografa una società italiana «fragile, isolata» e smarrita di fronte alla crisi. I ragazzi italiani, secondo quanto si trova nei capitoli dedicati al dettaglio più squisitamente socioeconomico, non sfuggono a questa deriva poco rassicurante.
Infatti, se nell’ambito formativo, il Censis registra come siano in diminuzione i cosiddetti “early school leavers” (cioè i giovani 18-24enni in possesso della sola licenza media e fermi dal punto di vista formativo): da una media del 22,9% del 2004 si è scesi al 18,8 del 2010. Ma nel Sud e soprattutto nelle Isole (25,6%), i numeri rimangono preoccupanti. Ma il quadro non è così confortante: infatti aumenta la percentuale di coloro che abbandonano i banchi entro il biennio delle superiori (saliti al 16,7%), soprattutto tra gli iscritti agli istituti professionali.
Se al Centro/Nord il quadro appare in avvicinamento ai livelli europei (l’obiettivo del 10% di early school leavers entro il 2020), lo scollamento del Meridione è confermato anche dalle interviste ai dirigenti scolastici di medie e superiori sulle sinergie con gli altri organismi istituzionali del territorio. Infatti, il 57,4% dei dirigenti dichiara di contare molto o abbastanza sul supporto degli enti locali e un analogo 57% sul contributo delle famiglie, seguono gli organismi del terzo settore (56%) e le parrocchie (54,1%). Minoritaria è invece la quota di dirigenti che segnala un contributo adeguato di organismi della formazione professionale (34,9%) e di imprese (14,9%).
Ma, come detto, la situazione del Sud è molto negativa: gli istituti scolastici «segnalano per il 37,1% di non poter contare affatto sul sistema della formazione professionale». Non solo: anche il contributo degli enti locali è molto differente, presenti – molto o abbastanza – al Nord nel 73,6% degli istituti scolastici intervistati, al Centro nel 62,8% e nel 41,4% al Sud. Secondo i presidi, «abbandoni e irregolarità sono sovente la conseguenza di un fenomeno più ampio di disaffezione allo studio, determinato anche dalla carenza di prospettive di lavoro e da incerte traiettorie di vita futura». Secondo il 54,4% (58,6% per le scuole di I grado) dei dirigenti scolastici tra i propri allievi prevale «la propensione a continuare negli studi, ma spesso senza un progetto di vita e di lavoro».
Questo smarrimento nei confronti del futuro dà nuova linfa al fenomeno dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, un ambito nel quale il nostro paese vanta un poco lusinghiero primato a livello europeo. Nella fascia 15-29 anni, la quota di Neet ha ripreso a crescere anche a causa della crisi economica di questi ultimi anni: nel 2010 ha toccato il 22,1%, rispetto al 20,5% dell’anno precedente.
Il quadro che si ricava non lascia ben sperare per il futuro: nel dettaglio, l’11,2% dei giovani di 15-24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%. Di contro, da noi risulta decisamente più bassa la percentuale di quanti lavorano: il 20,5% tra i 15-24enni (la media Ue è del 34,1%) e il 58,8% tra i 25-29enni (la media Ue è del 72,2%). A ciò si aggiunga che tra le nuove generazioni sta progressivamente perdendo appeal una delle figure centrali del nostro tessuto economico, quella dell’imprenditore. Solo il 32,5% dei giovani di 15-35 anni dichiara di voler mettere su un’attività in proprio, meno che in Spagna (56,3%), Francia (48,4%), Regno Unito (46,5%) e Germania (35,2%).
Rimane invece forte la presa delle nuove tecnologie, soprattutto come strumenti per ottenere informazioni. La televisione, per esempio, tradizionale “totem” della casa degli italiani, non è più così centrale nella vita di adolescenti e giovani adulti. Infatti, nella fascia 14-29 anni, le trasmissioni televisive tracimano su piattaforme diverse dall’elettrodomestico tradizionale (utilizzato comunque dal 95%): il 40,7% gli affianca la web tv, il 39,6% la tv satellitare, il 2,8% l’iptv, l’1,7% la mobile tv. Rispetto all’80,9% di italiani che ha il telegiornale come fonte principale di notizie, la percentuale scende al 69,2% tra i ragazzi, quasi alla pari con 65,7% riferito ai motori di ricerca su Internet e al 61,5% di Facebook.
Pollice verso invece per la politica in tv, un elemento molto presente nei palinsesti di tutte le reti. Quasi il 70% dei giovani tra i 14 e i 29 anni non segue i talk show politici, per il 63,9% perché non interessati alla politica. Inoltre, il 52,1% non li seguirebbe per nessun motivo.
È anche grazie alla curiosità dei giovani verso Internet che l’Italia supera nel 2011 la soglia del 50% di popolazione connessa: sono infatti 87,4% i giovani connessi al web, la percentuale più alta tra tutte le classi di indagine. Molto forte la componente di connessione mobile: il 44,4% dei giovani usa il wifi, il 13% le connessioni mobili e il 14,2% lo smartphone. Internet però rimane ancora un elemento per lo più ludico: si connettono principalmente per ascoltare musica (52,5%), per trovare le strade (46,5%), per guardare film (34%). Solo al quarto posto, col 26,8%, l’utilizzo della rete per la ricerca di un lavoro (contro il 12,3% nazionale).
In questo quadro, cambia anche il “format” famiglia. Secondo il Censis, infatti, «è profondamente cambiato il modo di vivere e di relazionarsi degli italiani». Perciò, nell’ultimo decennio l’Italia ha perso 739.000 coppie coniugate con figli (-8%), ma ha visto aumentare di 274.000 le coppie non coniugate con figli, sono aumentate le famiglie monogenitoriali di 345.000 unità (quasi +19%) e i single di quasi 2 milioni di persone (+39%).
Il rapporto completo del Censis è disponibile in libreria. (mf)