Belli e dannati

di Gus Van Sant

(USA, 1991)

Sinossi

Mike e Scott sono due ragazzi disagiati che per vivere si prostituiscono nella città di Portland, Oregon. Mike soffre di una malattia rara, la narcolessia, causa di improvvise e profonde perdite di coscienza. Scott è invece il figlio ribelle del sindaco della città deciso a vivere senza freni né regole fino al compimento del suo ventunesimo compleanno, momento in cui ha deciso di reintegrarsi nella società che fino ad ora ha sfuggito. Mike patisce la mancanza della madre, di cui non ha notizia ormai da molti anni, e decide, con l’aiuto di Scott, di mettersi sulle tracce della donna. Viaggiando attraverso l’Idaho, i due scoprono che Mike è frutto di un incesto e che la donna si è trasferita a Roma. Mike e Scott si dirigono quindi in Italia, dove la ricerca della madre si dimostra altrettanto vana. Scott, tuttavia, conosce una ragazza italiana, Carmela, se ne innamora e abbandona Mike, il quale torna a Portland da solo. Nel frattempo Scott ha compiuto i suoi ventuno anni e riprende, dopo la morte del padre, il posto che gli compete nella società abbiente di cui fa parte. Questa scelta provoca la morte di crepacuore di Bob Pigeon, una sorta di figura di riferimento per i ragazzi sbandati della città, innamorato di Scott e sorpreso dal voltafaccia del suo pupillo. Dopo lo svolgimento contemporaneo dei funerali del sindaco e di Bob Pigeon nel cimitero di Portland, Mike riprende la sua vita randagia, ma mentre si trova in una delle consuete strade dell’Idaho, una crisi di narcolessia lo coglie e lo getta in terra privo di sensi. Mike è raccolto in terra da alcuni sconosciuti sopraggiunti in auto e trasportato misteriosamente via.

Introduzione al film

L’assenza della famiglia come fulcro tematico

Intorno alla fine degli anni Novanta, Gus Van Sant disse testualmente: «Tutte le storie che ho realizzato finora contengono una qualche sorta di metafora familiare». Ciò è evidente in ogni suo film, perlomeno fino a Gerry (2002): il cinema del regista nato a Louisville, Kentucky, è veramente colmo di nuclei familiari con una loro personale logica interna. In Da morire, per esempio, le due famiglie di Suzanne Stone e Larry Maretto sono ospiti in uno studio televisivo e conferiscono lo spunto per la costruzione di una narrazione articolata partendo dai loro racconti sulla vicenda che ha visto protagonisti i rispettivi figli. In Drugstore Cowboy e Belli e dannati, invece, si nota immediatamente un’assenza della figura del padre istituzionale: Bob si reca in visita alla madre ma del padre non si fa alcun accenno; Mike scopre che l’uomo ritenuto suo padre è stato ucciso in un impeto di follia da quella madre che sta tanto alacremente cercando; Scott vive nella comunità dei ragazzi della casa occupata come se non avesse un padre, visto che considera il suo un personaggio ipocrita interessato solo al suo ruolo municipale. Questo tratto problematico nella relazione padre-figlio ha una profonda valenza autobiografica: lo stesso Van Sant ha avuto, nel corso della sua vita, un rapporto conflittuale con suo padre, spesso assente da casa a causa del suo lavoro di commesso viaggiatore. La mancanza di una figura maschile è spesso colmata, nel suo cinema, da altre putative: in Belli e dannati, ad esempio, Bob Pigeon diventa una specie di genitore all’interno della famiglia di ragazzi sbandati, dediti alla prostituzione e tossicodipendenti che popolano la casa occupata di Portland. I rapporti con le vere famiglie d’origine non sono mai idilliaci, i contrasti prevalgono anche in maniera violenta, le incomprensioni generate dal gap generazionale o dall’egoismo delle due parti non permettono dialoghi ma soltanto aspri conflitti. Bob Hughes, in Drugstore Cowboy, per continuare in quest’analisi trasversale all’opera di Van Sant, si reca a trovare la madre soltanto per recuperare un guardaroba smesso parecchio tempo prima. I due non si vedono da molto tempo, ma la madre conosce le abitudini del figlio tossicodipendente e, chiudendogli improvvisamente la porta in faccia, corre a nascondere soldi e valori presenti nella casa per non farseli rubare. Tra Bob e la madre non c’è rapporto: il primo ha sostituito colei che l’ha generato con l’amore per la droga. Anche Will Hunting – Genio ribelle (1997) e il grande successo Elephant (2003) si segnalano per l’assenza della famiglia come nucleo in grado di apportare sicurezza e amore nel primo caso (è proprio dalla violenza subita nell’infanzia che si è originato il trauma del protagonista Will), o, nel secondo, di proporre valori saldi cui ancorarsi per evitare il sonno della ragione.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE

Antitesi familiari

In Belli e dannati la questione familiare diventa il tema privilegiato dell’intera pellicola. Sono due gli intrecci familiari che entrano in relazione: da un lato la situazione di Mike, proveniente da un’infanzia infelice, tormentata da un incesto avvertito ma mai rivelato; dall’altro Scott, che rifiuta la società che gli ricorda il padre sindaco e tutto il suo corredo fatto di lustro, presenzialismo e ipocrisia ufficiale. A questi due nuclei, si aggiunge la famiglia putativa, quella rappresentata da Bob Pigeon e dalla sua corte dei miracoli racchiusa dentro la casa occupata di Portland, nella quale perdura un microcosmo senza regole. Mike sente la mancanza di una famiglia stabile, di una casa, di una madre (non è un caso, infatti, che la prima inquadratura del film dedicata alla madre di Mike abbia al suo interno, in alto a destra dell’immagine, una tranquilla casa in una prateria), di tutto quello che può comunicare tranquillità ed amore ad un fanciullo nel momento della crescita, quando cioè ha più bisogno di protezione e affetto. La madre di Mike è rappresentata esclusivamente attraverso i sogni del ragazzo, mentre nella realtà illustrata dal film essa non esiste, o meglio esiste in quanto entità sfuggente e mitizzata. Mike avrebbe voluto avere un’esistenza differente da quella che conduce, concetto che il ragazzo illustra molto ingenuamente in un dialogo con Scott intorno ad un falò, in una sosta notturna del viaggio, dicendo: «Con una famiglia normale e una buona educazione sarei stato una persona equilibrata». Mike imputa la sua situazione alle sue disastrate condizioni familiari, alla sua mancanza di origini certe, ma il suo è un semplice aspirare ad una felicità agognata, ad un’idilliaca quanto ideale serenità familiare di cui non ha ben chiari gli estremi. Di certo sente il bisogno che le sue lacune affettive vengano colmate da qualcuno. La stessa narcolessia di Mike rappresenta simbolicamente l’impossibilità di relazionare le chimere prodotte dai suoi vagheggiamenti con l’aspetto brutale della realtà effettiva: se le immagini della madre, perse nei meandri di una memoria che si pretenderebbe viva ed attuale, riaffiorano vigorosamente, la psiche di Mike si abbandona al sogno in cui la dimensione affettiva è ancora possibile. Scott, invece, è figura ricalcata da Van Sant su quella, illustre, del principe Hal nell’Enrico IV di Shakespeare: egli è originario di una famiglia in cui vigono regole sociali e di interazione molto rigide. Così come il principe Hal vaga senza meta nel dramma shakespeariano, andando a zonzo tra villaggi e castelli, Scott si impegna in una vita dissoluta, fatta di omosessualità e prostituzione, sapendo perfettamente che è l’ultima possibilità per farlo, prima di accettare la responsabilità di entrare in società e comportarsi con il decoro che dal compimento del ventunesimo anno lo accompagnerà per tutta la vita. Scott possiede la coscienza della soglia da attraversare prima di dimenticare completamente il passato e l’esperienza maturata sulla strada. In entrambi i casi, ciò che viene messo alla berlina è la famiglia americana, nella sua totale disgregazione per eccesso di indifferenza ed egoismo oppure per una mancata condivisione dei valori. Non è accidentale il fatto che il film si costruisca attorno a simulacri famigliari, oppure ad indizi, messaggi, figure che rimandano all’idea stessa di istituto sociale da desiderare e contemporaneamente allo sfascio. Qualche esempio? I costanti richiami alla casa in quanto abitazione che induce sicurezza e stabilità, le fotografie che rimandano ad un passato felice e forse fittizio (Scott bambino con il proprio padre, Hans il tedesco che mostra con orgoglio la foto della madre), i quadri dipinti dal fratello di Mike che hanno come soggetto alcuni nuclei familiari, oppure la cartolina della madre dello stesso Mike che giunge da un albergo chiamato “Family Tree Inn” (albergo dell’albero genealogico). Not Family life: vita di una non famiglia. Giampiero Frasca

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