Alla luce del sole

di Roberto Faenza

(Italia, 2005)

Sinossi

Il film ripercorre i due anni di attività pastorale di Don Pino Puglisi, insediatosi come parroco nel quartiere Brancaccio a Palermo, una delle zone della Sicilia con la più alta densità mafiosa, dal 1991 ed assassinato dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. Preso atto, dopo i primi giorni nella nuova parrocchia, dell’assenza cronica di fedeli, Don Pino si dà da fare per farsi conoscere dalla gente del quartiere in cui è nato. Il suo modo di fare aperto e diretto infonde fiducia nella gente che ben presto ricomincia a frequentare la chiesa. Gran parte del lavoro del parroco viene svolta sui bambini, nel tentativo di recuperarli dalla strada e sottrarli alle attività criminali della mafia. Approntato un campo di calcio nel cortile parrocchiale chiama a raccolta i ragazzi cercando di insegnare loro nuove regole e nuovi valori. Il suo “centro di accoglienza” diventa ben presto un punto di riferimento per tutti i giovani del quartiere, mentre gli adulti, stimolati da Don Pino, cominciano a sviluppare una coscienza civile molto più critica nei confronti delle gravi assenze delle istituzioni locali. Il lavoro di professore di religione svolto nelle scuole consente inoltre al parroco di lavorare anche con gli adolescenti dei quartieri meno poveri, invitandoli a ragionare con la propria testa e a farsi carico in modo diretto dei problemi della propria città. Le continue intimidazioni subite da parte dei boss locali portano Don Pino a richiedere alla curia un aiuto, che si materializza con l’arrivo di tre suore e di un vice-parroco. Il lavoro di squadra porta a risultati che si spingono al di là della semplice attività parrocchiale: gruppi di abitanti del quartiere organizzano manifestazioni di denuncia nei confronti delle attività mafiose illegali. La partecipazione massiccia alle celebrazioni solenni che seguono i due gravissimi attentati ai giudici Falcone e Borsellino sono un segno di rinnovata sensibilità nei confronti della lotta alla mafia, e le omelie diventano per Don Pino occasione per denunciare apertamente le connivenze tra i politici locali e la criminalità organizzata. A seguito di queste prese di posizione estremamente pericolose per la credibilità e la rispettabilità dei boss, viene organizzato l’attentato al parroco. Il suo corpo agonizzante nel centro di Brancaccio rimane per lunghissimi minuti senza soccorso: le persiane delle case rimangono chiuse in un mutismo spaventato e i pochi passanti cambiano strada fingendo di non aver visto niente.

Introduzione al Film

La vita sullo schermo

Alla luce del sole è il dodicesimo lungometraggio di Roberto Faenza e conferma a pieno lo stile biografico dell’autore. Molti dei suoi film raccontano infatti la vita attraverso le vite di personaggi reali, si pensi al piccolo Jona protagonista di Jona che visse nella balena (1993) tratto dal romanzo autobiografico di Jona Oberski e alla poco conosciuta Sabina Spielrein, pedagogista russa uccisa dai nazisti cui è dedicato Prendimi l’anima (2003). Vite romanzate che acquistano valore di verità, come nel caso di Sostiene Pereira (1995) tratto dal best-seller di Antonio Tabucchi e di Marianna Ucria (1997) liberamente ispirato a un romanzo di Dacia Maraini, nelle quali Faenza va alla ricerca di un’autenticità da rappresentare con le armi del cinema. Un cinema, il suo, che pur con esiti alterni evita accuratamente l’atteggiamento epico tipico proprio del genere, di matrice hollywoodiana, definito Biopic (dall’unione delle parole “biography” ed “epic”) per andare alla ricerca di una sincerità sempre rincorsa e spesso colta. La quotidianità, anche nel caso dei personaggi “storici” o “storicizzati”, viene immaginata prima di tutto come normalità e spogliata da una spettacolarizzazione tanto appetibile quanto falsa. I protagonisti, sembra suggerire continuamente Faenza, sono soprattutto persone normali con capacità o intuizioni eccezionali; il racconto dei piccoli fallimenti o delle grandi fragilità non ne intacca il valore storico, piuttosto ne rende viva la memoria e ancora più attuale il ruolo. Alla luce del sole si concentra sui due anni vissuti dal protagonista nel quartiere di Brancaccio. Sono due anni di lotta, silenziosa e tenace, al predominio del sistema mafioso che il film mette in scena in una concatenazione cronologica piuttosto fluida e ben bilanciata. Le sequenza iniziale nella quale i ragazzini gettano in pasto ai cani da combattimento gatti vivi, di notevole impatto emotivo, fotografa una situazione drammatica di smarrimento civico, sociale e sentimentale. Il deserto, prima di tutto umano, che Don Puglisi si trova a dover attraversare viene affrontato dal protagonista con un equipaggiamento di entusiasmo e volontà. La recitazione misurata e intimista di Luca Zingaretti crea un argine simbolico all’esuberanza, sempre pronta a sfociare in violenza verbale e fisica, dei tanti giovani attori non professionisti. Da questo “duello” il metodo educativo del parroco si esplicita senza bisogno di sequenze eccessivamente didascaliche, mentre la sua straordinaria onestà intellettuale è più giocata sugli sguardi, sui piccoli gesti, sulle frasi lapidarie e disarmanti (si veda il momento in cui rifiuta la “bustarella” offertagli dalla stessa mano che poi gli darà la morte) piuttosto che sui grandi discorsi pubblici. Del resto anche le occasioni pubbliche raccontate dal film, in particolare l’omelia durante la celebrazione in ricordo di Falcone e Borsellino, restituiscono un personaggio estremamente concreto, diretto e quindi scomodo. Meno convincente, invece, la rappresentazione dei meccanismi e dei personaggi della criminalità organizzata. La recitazione dei mafiosi non esce da una tipizzazione già vista e rivista e alcune sequenze, come quella in cui il boss locale firma un assegno sulla spalla nuda della sua accompagnatrice, scadono nel bozzettismo.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il mondo in un sorriso

Se Alla luce del sole è dedicato al ricordo della figura di Don Pino Puglisi, è evidente come i veri destinatari della sua opera pastorale siano stati soprattutto i giovani. Il film mette in luce il rapporto privilegiato del parroco sia con i bambini del quartiere sia con i ragazzi delle scuole superiori nelle quali ha insegnato; si tratta di due approcci pedagogici notevolmente differenti e con differenti risultati. L’incipit del film fotografa con poche brevi sequenze una situazione infantile quasi disperata. La maggior parte dei bambini di Brancaccio, di età compresa tra i 4 e i 14 anni, vive per strada, totalmente trascurata dalle famiglie dal punto di vista educativo, ed è la mafia a colmare questo vuoto. Il gioco, prerogativa di questa età, diventa un sistema cinico e spietato per racimolare qualche soldo: così i ragazzi vanno in giro per il quartiere a catturare gatti che poi saranno gettati in pasto ai cani e assistono ai combattimenti con partecipazione emotiva. Quella fase della crescita piuttosto comune nella quale viene sperimentata una certa dose di crudeltà nei confronti di piccoli animali (formiche, rane, lucertole) qui si ingigantisce assumendo i contorni inquietanti di un modo illegale per guadagnarsi da vivere. Spaesati e smarriti i piccoli vivono la strada come un campo di gioco anche perché non esistono nel quartiere luoghi a loro dedicati. La loro non è dunque una libera scelta ma l’esigenza dettata dall’assenza di un’alternativa. Appena Don Puglisi arriva a proporre loro uno spazio in cui giocare, i bambini corrono senza rimorsi e senza sovrastrutture. Lì, pur di poter sfruttare uno spazio finalmente loro, accettano le regole imposte dal parroco, quelle più semplici del vivere civile, e persino i soggetti più rissosi e indisciplinati abbandonano gli atteggiamenti da bullo. Il personaggio di Saro, una sorta di capo-banda, diventa in questo senso emblematica del cambiamento repentino dei coetanei: il ragazzo tenta inizialmente una contrapposizione per testare la resistenza di Don Pino ma si trova spiazzato, lui così abituato a rispettare l’autorità dei più grandi e ad imporre la propria sui più piccoli, dall’autorevolezza del prete. Sul viso dei bambini quello che nelle sequenze iniziali era una risata beffarda e diabolica torna ad essere un sorriso aperto, spontaneo, sincero. Diverso è invece l’atteggiamento di Domenico, figlio di un affiliato alla mafia: il ragazzo adolescente si trova nell’età in cui bisogna cominciare a separare coscienziosamente il bene dal male e decidere da che parte stare. Si adegua a svolgere piccoli lavoretti per la criminalità organizzata ma non riesce a sentirsene parte, quindi rifiuta il padre come modello ed è alla disperata ricerca di un punto di riferimento educativo credibile. Don Puglisi, con il suo carisma ed il suo modo di fare trasparente e diretto, esercita su Domenico una forza di attrazione irresistibile. La sua situazione però e quella di un’anima divisa a metà: da una parte il desiderio di seguire la nuova strada rappresentata dal parroco, dall’altra la rigida ma familiare educazione paterna; la divisione porta ad una inevitabile lacerazione che si conclude con il simbolico suicidio, un atto estremo di autosacrificio che diventa affermazione della propria personalità, scelta definitiva ma autonoma. Con toni meno drammatici il film racconta anche lo strappo compiuto da Rosario nei confronti del nonno e delle sue origini. Il ragazzo frequenta il liceo in cui Don Puglisi insegna religione. La figura del prete lo influenza tanto da portarlo, insieme ad altri compagni, a lavorare con passione al centro parrocchiale. Spronato da Don Pino, anche Rosario si trova ad operare delle scelte e a guardarsi intorno per cominciare a giudicare le persone che lo circondano per quello che fanno. Avendo perso i genitori, il suo punto di riferimento è il nonno avvocato, il quale inizialmente aiuta economicamente le attività della parrocchia. Quando però Rosario scopre che il nonno non esita a concludere affari anche con i boss locali capisce che per lui non ci sono altre vie di scampo se non quella di abbandonare Palermo per trasferirsi da alcuni zii a Milano. A differenza di Domenico, Rosario possiede una via di fuga che gli consente di salvarsi la vita e, presumibilmente, anche l’anima.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Per i temi affrontati ed il linguaggio utilizzato Alla luce del sole è adatto esclusivamente agli studenti delle scuole medie superiori. Il film si presta ad un approfondimento storico sulla figura di Don Pino Puglisi e sulla stagione degli attentati mafiosi degli anni ’90. per un maggiore approfondimento di questi temi si consiglia la visione de I cento passi di Marco Tullio Giordana (Italia, 2000) incentrato sulla figura di Peppino Impastato, oppostosi alla mafia e assassinato nel 1978, La siciliana ribelle di Marco Amenta (Italia, 2008) che ripercorre il tragico destino di Rita Atria, la più giovane pentita di mafia morta suicida nel 1993, Mery per sempre (Italia, 1989) e Ragazzi fuori (Italia, 1989) di Marco Risi sulla condizione degli adolescenti palermitani nei quartieri ad alta incidenza mafiosa, Luna rossa (Italia, 2001) di Antonio Capuano che racconta la storia del giovane figlio di una potente famiglia della camorra napoletana nonché Gomorra (Italia, 2008) di Matteo Garrone, un mosaico di storie ambientate a Secondigliano (alcune delle quali vedono protagonisti giovani e giovanissimi abitanti del quartiere) tratte dal romanzo-inchiesta di Roberto Saviano. Ludovico Bonora

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