Nowhere in Africa

di Caroline Link

(Germania, 2001) 

Sinossi

Germania, 1938. Walter, ebreo tedesco, presentendo la minaccia del nazismo, decide di lasciare il paese con la sua famiglia per emigrare in Kenia. L’impatto con il lavoro della fattoria e le forti differenze con la vita agiata precedente inizialmente mettono in difficoltà il rapporto tra Walter e la moglie Jettel, mentre la piccola Regina sembra adattarsi perfettamente alla nuova vita e trova nel cuoco locale Owuor un amico e un maestro. Ad aggravare la situazione sono le notizie che sporadicamente arrivano dalla Germania e che fanno temere ai coniugi per la sorte dei propri familiari. Intanto lo scoppio della seconda guerra mondiale porta dei mutamenti nella situazione politica africana. Walter, in quanto straniero ostile in un paese a dominazione inglese, viene arrestato e portato in un campo di prigionia, mentre Jettel e Regina vengono momentaneamente trasferite in un lussuoso Hotel insieme a tutte le altre donne e bambini tedeschi. Lì Jettel cede al fascino di un ufficiale inglese che le promette di far avere al marito un altro lavoro in una fattoria. Trasferitisi nella nuova destinazione, però, Walter, sempre più in crisi con la moglie, decide di arruolarsi nell’esercito inglese per servire la causa della libertà e della giustizia. Intanto Jettel si fa carico della gestione della fattoria, mentre Regina stringe rapporti profondi di amicizia con i locali. Quando poi i genitori decidono di farle continuare gli studi presso un istituto inglese, Regina dimostra una straordinaria intelligenza ed una particolare abilità nell’imparare le lingue che le valgono elogi da parte degli insegnanti. La guerra intanto volge al termine e Jettel e Walter, che intanto è stato congedato, riallacciano i loro rapporti. Walter a questo punto sogna però un rientro in patria per rendersi utile nella costruzione di una nuova Germania. Quando riceve la lettera da un tribunale di Francoforte con l’invito a lavorare come giudice, cerca in tutti i modi di convincere moglie e figlia a lasciare il Kenia. Alle prime resistenze, giustificate dalla paura del popolo tedesco e dal radicamento nella nuova vita, farà seguito la decisione concorde di ritornare nella propria patria.

Introduzione al Film

L’olocausto visto da lontano

Nowhere in Africa propone un approccio decisamente originale nel raccontare la situazione degli ebrei tedeschi tra il 1938 e il 1947. Prendendo le distanze da tutti i luoghi comuni sull’olocausto e sull’ascesa del nazismo, schivando la retorica di molti film che quei temi hanno trattato in modo pur efficace e necessario, Caroline Link parte dall’omonimo romanzo di Stefanie Zweig per fornire un punto di vista esterno, distante, collocato in un altrove fisico ma anche culturale. La distanza è dunque il tema predominante del film, intesa nelle più varie e larghe accezioni del termine. Una distanza chilometrica abissale (soprattutto se riferita al periodo storico in cui viene collocata) che permette solo parzialmente di mantenere rapporti con la famiglia e con la propria nazione. I personaggi sono così costretti ad un isolamento che li porta, inevitabilmente, all’incontro ed al confronto con la cultura e con le persone del luogo in cui si trovano. Nelle sequenze iniziali non può non venire in mente La mia Africa (regia di Sidney Pollack, USA 1985), tratto dall’omonimo romanzo di Karen Blixen. In un periodo di poco anteriore rispetto a questo, gli stessi paesaggi, lo stesso senso di spaesamento, la stessa fascinazione per una nazione ed un continente che rappresenta insieme la purezza di un passato preistorico ancora vivo e palpitante, una invincibile armonia con la natura ed un rispetto sacrale per i valori della cultura tradizionale. Un senso di identità innato, quello delle popolazioni indigene, che cozza contro la perdita dell’identità dei profughi. Il dilemma dell’identità negata e perduta, vissuto da Walter, Jettel e Regina in modi diversi e a diversi livelli di profondità, nasce dalla fuga necessaria e salvifica. Una fuga dalla Germania che comincia a respingerli e rifiutarli in base alla loro origine ebrea, anche se né Jettel né Walter praticano la religione dei loro padri. Un conflitto ‘razziale’ che inevitabilmente porta ad una lacerazione interiore provocata dallo sradicamento. Walter, avvocato e uomo di legge che si trova a dover allevare mucche e a coltivare mais, finisce per regalare la propria toga ad Owuor riconoscendo in lui segni reali di quella saggezza che lui ha perduto e che gli viene negata. Jettel cerca invece di rimanere legata ai ricordi ed agli oggetti della lussuosa vita precedente, miope nei confronti della straordinaria bellezza che le sta di fronte. Grande importanza e attenzione, dunque, per le riprese dei paesaggi, della natura, degli spazi immensi. Spazi nei quali la macchina da presa si smarrisce, rischiando allo stesso tempo di smarrire anche la coesione della narrazione e il senso della sintesi, in particolare nella parte finale delle oltre due ore di visione, quando la decisione del rimpatrio viene rimandata fin troppo a lungo. Evitati, comunque, eccessivi spunti drammatici e cadute nei clichè del colonialismo, del rapporto interrazziale, degli addii lacrimosi e retorici. Equilibrismi lodevoli che gli hanno valso il premio Oscar 2003 come miglior film straniero.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

La casa dov’è?

Regina, la giovane co-protagonista del film, è una bambina di poco più di 10 anni che si trova a dover emigrare con la propria famiglia verso un continente sconosciuto e a doversi integrare in una cultura completamente diversa da quella d’origine. La voce narrante iniziale sgombra immediatamente il campo da qualsiasi facile rimpianto per i luoghi natii: è proprio Regina a spiegare didascalicamente agli spettatori che non le è mai importato molto della Germania, che la neve non le è mai piaciuta, che con gli altri bambini tedeschi non si è mai trovata a suo agio. In modo retorico e schematico si introduce quindi il tema del distacco e ci si prepara ad assistere al viaggio verso l’Africa con tutta la curiosità ed il senso di avventura infantili. Regina vive la fuga della sua famiglia come un viaggio affascinante verso l’ignoto, ovvero con l’ingenuità e l’apertura mentale che mancano totalmente a sua madre. Esemplare in questo senso è il fiume di parole con cui la piccola investe il padre appena lo rincontra dopo mesi di assenza (Walter era partito prima da solo, si era ammalato di malaria ed era appena guarito) e l’immediato affetto che la lega indissolubilmente al cuoco Owuor. Mentre, dunque, i genitori vivono in maniera conflittuale e problematica il senso di sradicamento, la perdita dell’identità, l’angoscia per la sorte dei familiari rimasti in patria, lo scontro con una cultura ostica ed incomprensibile, Regina si ambienta con una disponibilità totale, decisamente irreale e sovradimensionata, all’incontro con l’altro. È lei che prima e meglio dei suoi genitori impara la lingua degli indigeni, ed è lei che ne esplora le abitudini e i riti, anche i più scabrosi. Mentre la madre cerca di proteggerla da tutto ciò che non conosce e che la spaventa – bestie feroci e malattie incurabili – con quotidiane dosi preventive di chinino, Regina entra a far parte del villaggio. Gli spostamenti continui causati dalle complicazioni internazionali non fanno che cementare il suo senso di appartenenza e amplificare il suo spirito di adattamento. La bambina si dimostra a suo agio nel lussuoso hotel dove fa amicizia con una connazionale, ma anche nella nuova fattoria e persino nella scuola inglese dove, nonostante i pregiudizi un po’ snob che riguardano la sua origine di ebrea tedesca, riesce ad imporsi come studentessa modello imparando a parlare anche un perfetto inglese. In questo modo Regina rappresenta all’interno della vicenda la stabilità, circondata da personaggi, in particolare i genitori, continuamente preda di un senso di inadeguatezza e dal desiderio di fuga. La sua capacità nello stringere legami è pari solo alla facilità con cui è in grado di accettare il cambiamento e gli addii: è così in tutti gli spostamenti, nella crescita che la porta a lasciare i genitori per poter frequentare la scuola, nella decisione finale di ritornare in Germania. Una disponibilità che, come accennato, il film semplifica e che risulta poco credibile, in particolare se si tiene in considerazione il passare del tempo che mostra, nelle fasi finali del film, Regina ormai adolescente eppure ancora totalmente disponibile ad accettare qualsiasi decisione che riguardi la sua vita. In altri termini è molto improbabile che un qualsiasi altro sedicenne si faccia escludere dalle decisioni familiari in questo modo e che accetti senza battere ciglio di lasciare gli studi, gli amici, la cultura che ha imparato a conoscere ed una terra che ha imparato ad amare. Del resto la scelta del film, che partiva con il punto di vista di Regina, è quella di tralasciare la giovane protagonista per mettere in luce il rapporto dei suoi genitori e le loro pulsioni interiori. Una scelta che penalizza il racconto del personaggio lasciandolo incompiuto e omettendo accenni sul suo futuro.

Riferimenri ad altre pellicole e spunti didattici

I temi trattati dal film ed il linguaggio utilizzato rendono Nowhere in Africa adatto agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori. Il contesto storico di riferimento si pone come un’ottima base di partenza per poter affrontare in maniera originale e da una diversa angolazione un approfondimento sulla situazione mondiale tra gli anni immediatamente precedenti ed immediatamente successivi la seconda guerra mondiale. Da questo punto di vista la visione di questo film si può affiancare a quella di Schindler’s List (USA, 1993) di Steven Spielberg e di Monsieur Batignole (Francia, 2003) di Gérard Jugnot che raccontano il diverso destino dei bambini ebrei: il primo narra le atrocità dei campi di sterminio, mentre il secondo racconta la salvezza. I temi della fuga, dello sradicamento e del confronto/scontro con una nuova cultura sono invece affrontati in Chocolat di Claire Denis (ambientato in Camerun negli anni immediatamente precedenti l’indipendenza della nazione africana dal dominio coloniale francese e che vede protagonista una bambina che, proprio come Regina, riesce a integrarsi facilmente con la cultura locale, a differenza dei suoi genitori), Caterina va in città (Italia, 2003) di Paolo Virzì, Un tocco di zenzero (Grecia/Turchia 2003) di Tassos Boulmetis e Cose di questo mondo (Gran Bretagna, 2002) di Michael Winterbottom. Ludovico Bonora  

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).