Il tempo dei cavalli ubriachi

20/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Povertà Lavoro minorile Titoli Rassegne filmografiche

di Bahman Ghobadi

(Iran, 2001)

Sinossi

Kurdistan iraniano. Una famiglia di cinque fratelli vive al di sotto della soglia di povertà. Madi, uno dei cinque fratelli, è affetto da una rara malattia genetica e ha urgente bisogno di essere operato. Il solo componente della famiglia che lavora è il quattordicenne Ayoub che fa il contrabbandiere portando merci nel vicino Iraq. Per pagare l’operazione, Ayoub lavora giorno e notte, ma la paga è bassa e ogni suo tentativo di risparmiare si rivela vano. D’accordo con lo zio, garante dei cinque minorenni, viene deciso di dare in sposa la sorella maggiore ad un ricco signore iracheno, disposto a far operare Madi a Baghdad. Quando però le due famiglie si incontrano, su un altipiano innevato al confine tra i due Paesi, la madre dell’uomo rifiuta di prendersi carico del ragazzo handicappato, regala alla famiglia un cavallo e se ne va con la novella sposa.

Analisi

Dall’esperienza di Ayoub e della sua famiglia si possono evincere due aspetti del lavoro minorile spesso taciuti: da un lato l’effetto responsabilizzante che una qualsiasi occupazione ha per il lavoratore che la deve espletare, dall’altro la difficoltà di applicare i criteri “occidentali” sui diritti dell’infanzia, sullo sfruttamento, sulla regolazione del lavoro minorile anche per quei paesi poveri, dove è grande il tasso di disoccupazione, dove vivono comunità emarginate non solo economicamente, ma anche geograficamente, perché situate in zone del mondo impervie, dimenticate e senza alcun collegamento (stradale, telefonico, mediatico) con il resto del mondo. Bahman Ghobadi non tace la sua violenta critica contro le nazioni che non si occupano sia politicante che da un punto di vista assistenziale del caso curdo, né rinuncia a scagliarsi contro quelle famiglie che costringono i figli a lavori pericolosi che soffocano la loro libera maturazione. Lo stile realista e gelido, le situazioni di surreale impotenza di Ayoub, l’ambientazione ostile ai personaggi conferma la carica polemica del film. Nondimeno, lo spettatore non può non simpatizzare con un ragazzo che si prende letteralmente sulle spalle la propria famiglia, che compra un quaderno per la sorellina più piccola che va a scuola (e quindi si dimostra consapevole che l’unico modo per uscire dalla povertà è studiare), che fa di tutto per raccogliere i soldi necessari per l’operazione dell’altro fratello Madi. Ogni comportamento di Ayoub è altruistico, di responsabile sacrificio al servizio di chi vuole bene e di chi vuole proteggere. Appare, allora, ancora più beffarda l’impotenza con cui assiste alla “vendita” della sorella in cambio di un misero mulo (e non dell’operazione chirurgica come inizialmente promesso dallo sposo). La minore età non è un limite nell’efficienza del suo lavoro (anzi è un pregio, visto che i bambini più facilmente si sottraggono ai controlli della polizia, come dimostra anche il contemporaneo Lavagne di Samira Makhmalbaf), ma nei rapporti di potere e di forza e nelle possibilità di contrattare con gli adulti. In secondo luogo, Il tempo dei cavalli ubriachi mostra chiaramente quanto siano deboli i criteri con cui si è soliti discernere il lavoro minorile dallo sfruttamento in contesti come quello iraniano/curdo. Ayoub non ha alternativa alla sua attività, non esiste uno stato sociale che dia assistenza alla sua famiglia (per la verità in Kurdistan non esiste nemmeno uno stato vero e proprio), né lavori retribuiti secondo contratti, patti sindacali, norme di tutela dei lavoratori. Quello di Ayoub è un lavoro vero e proprio che lui considera tale e che con determinazione porta avanti. Sono gli adulti, lo zio, una certa concezione patriarcale e gerarchica della società, che trasformano un’esigenza in sfruttamento, ma la soluzione non pare essere – come il finale del film afferma – quella di evitare al ragazzo di fare il contrabbandiere. Affidandosi alla repressione si finisce per togliere la possibilità di sussistenza di una famiglia, senza cambiare la situazione in cui Ayoub e gli altri si trovano a vivere.

È la povertà a dover essere repressa, ma né Ayoub né lo zio, con le loro azioni, hanno possibilità di sconfiggerla. Prima di chiedere il rispetto dei diritti dell’uomo – suggerisce il film – c’è il dovere, da parte delle forze governative, di sconfiggere le cause che determinano la loro violazione.

 

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