Firenze: inclusione sociale e buone pratiche [1]
Nel capoluogo toscano la seconda giornata di lavoro del convegno L'educazione per combattere l'esclusione sociale. Alcune Best practices della Finlandia, Slovacchia e un progetto di Torino, aiutano a capire come muoversi per aiutare l'integrazione sociale dei bambini e adolescenti immigrati.
«La famiglia è il primo mediatore tra i bambini e la società nella quale arrivano e noi, vista la sua importanza, le offriamo sostegno». Lo mette in evidenza Anne Alitolppa Niitamo della Federazione finlandese delle famiglie, intervenuta ad uno dei seminari del convegno L'educazione per combattere l'esclusione sociale promosso dal Comitato economico e sociale europeo che si tiene a Firenze all'Istituto degli Innocenti fino al 22 maggio.
Le famiglie immigrate che arrivano in Europa si scontrano immediatamente con un grande ostacolo: le nuove tecnologie. «Abbiamo accettato la sfida dell'adozione di tecnologie informatiche perché l'alfabetizzazione digitale diventa fondamentale per l'inclusione sociale delle famiglie di immigrati e dei loro figli – continua la Niitamo - ma a volte, all'interno di queste famiglie si crea una situazione di “acculturamento in dissonanza”, dove i figli si adeguano e i genitori si auto-emarginano piegandosi su sé stessi. Allora è necessaria l'educazione e la formazione continua dei genitori»
«Ma affinché l'integrazione sociale possa avvenire - ha sottolineato l'eurodeputato Luigi Berlinguer, moderatore di uno dei seminari - è importante che l'Europa non si consideri una fortezza. L'inclusione sociale, oltre che un imperativo morale, è utile anche allo sviluppo economico europeo».
La seconda giornata dei lavori, attraverso i tre seminari, ha proposto buone pratiche sperimentate per l'inclusione sociale e per la riduzione della povertà. Oltre alle situazioni di isolamento che vivono le famiglie e i bambini fuggiti da situazioni di guerra e di povertà dai paesi di origine, in tutta l'Europa uno dei gruppi etnici che paga le maggiori conseguenze dell'esclusione sociale sono i Rom. Da sette secoli in Europa, la popolazione rom conta circa 11 milioni di persone molte delle quali con la cittadinanza ma spesso considerate stranieri dalle popolazioni dei paesi nei quali vivono.
Il lavoro che da anni porta avanti con la comunità rom Denisa Pochovà, pediatra dell'ospedale Presov in Slovacchia ci fa capire quanto per questa minoranza sia difficile l'inclusione sociale.
«Madri spesso troppo giovani o che durante la gravidanza bevono e fumano o che fanno uso di stupefacenti – spiega Denisa Pochovà - madri che non allattano al seno e diluiscono il latte artificiale con l'acqua dei fiumi, spesso sono atteggiamenti che contribuiscono ad avere un figlio con una salute cagionevole e con un sistema immunitario estremamente debole. Non aiutano a migliorare la situazione della popolazione rom la mancanza di mezzi economici e standard igienici molto bassi. Il 20% dei bambini ricoverati negli ospedali della Slovacchia sono di etnia rom e quelli in età prescolare hanno spesso i parassiti».
L'educazione delle madri e dei loro bambini in una situazione simile, secondo la Pochovà, diventa fondamentale. Però, nonostante in Europa ci sia una maggiore sensibilità riguardo all'educazione a favore della minoranza rom, in Slovacchia negli ultimi anni la situazione è peggiorata. I bambini continuano ad essere emarginati con un livello di istruzione estremamente basso.
Nemmeno l'integrazione scolastica dei bambini immigrati è facile. A scuola, oltre alle difficoltà causate dalla lingua del paese che li ospita, i piccoli immigrati portano anche i problemi che vivono in famiglia. I laboratori interculturali del Centro Frantz Fanon di Torino sono un esempio di buone pratiche che ci aiutano a comprendere come portare avanti un lavoro funzionale all'inclusione sociale. «Partiamo dal presupposto che l'immigrazione non è una malattia - spiega Simona Taliani – e cerchiamo di evitare la stereotipizzazione della cultura del bambino immigrato perché perde valore. Facciamo in modo che possa pensare alla cultura del suo paese ma anche alla cultura del paese nel quale è ospite, al significato delle rotte migratorie, a ciò che ha perso ma anche a ciò che ha guadagnato andando a vivere in un altro paese. In questo modo può fare un percorso consapevole su ciò che significa cultura del paese di provenienza e del paese che lo ospita».
Domani, nella giornata conclusiva del convegno, al presidente della Commissione europea Manuel Barroso verrà presentato un libro verde con una serie di proposte per il rilancio delle azioni necessarie all'inclusione sociale. (sp)