"La giustizia mite dà forza ai diritti dei minori" [1]
Di “giustizia mite” dibatte da anni la magistratura minorile. In questi ultimi mesi il tema è stato al centro di incontri e convegni in tutta Italia, anche grazie alla pubblicazione del libro Manifesto per una giustizia minorile mite [2] di Francesco Paolo Occhiogrosso, presidente del Centro nazionale, presentato oggi [3] a Firenze.
Professor Occhiogrosso, cosa si intende per giustizia mite?
La giustizia mite è un concetto che sta acquistando sempre più centralità. Non la intendiamo solamente come la tranquillità d'animo: è qualcosa di più, un valore o una virtù sociale che entra nella dimensione del rapporto con gli altri. Secondo Bobbio si afferma sostanzialmente nel principio della non violenza. Questo, nella società di oggi, è un valore particolarmente importante perché la non violenza è l'unica risposta possibile. La giustizia mite è quella che persegue i principi in linea con le affermazioni costituzionali di tutela dei diritti in generale e, per quanto riguarda i minori, i principi della Convenzione di New York del 1989.
Ma questo concetto di giustizia mite non rischia di contrapporsi in qualche modo all'impostazione attuale della giustizia minorile?
Sarebbe riduttivo interpretarlo così. In realtà, si pone il problema di quale evoluzione il diritto minorile sta avendo e quali mutamenti dovrebbe avere alla luce dei principi del diritto mite. Io ritengo che, con la riforma costituzionale del 2001, ci sia stato un cambiamento dei principi che tende verso la continuità degli affetti più che alla rottura: cercare soluzioni morbide più che quelle drastiche. E quindi a una linea che sia mite in questo senso, che affermi sempre diritti che non si possono ignorare.
Quindi una giustizia ancora più a misura degli interessi del minore?
Certo, ma questo non vuol dire che quella precedente non lo fosse. La tendenza è sempre più quella a evitare gli strappi, a evitare gli allontanamenti. E se è necessario farli, dev'essere nel modo più dialogato e concordato possibile così da attenuare il più possibile sofferenze e disagi. Ci sono tanti aspetti da discutere. Per esempio, sulla spinta dei servizi sociali ormai l'affidamento familiare non è più temporaneo ma sta diventando sine die: ma non so quanto sia giusto lasciare un bambino nel limbo per dieci, vent'anni perché si vuole evitare l'adozione o il semi abbandono. Forse occorrerebbero scelte più nette ma dialogate.
Quali proposte avanza nel suo libro?
Prima di tutto penso che si debbano fare delle riforme normative più attente ai bisogni dei minori. Vedo con favore l'accorpamento di competenze dei tribunali in un Tribunale della famiglia. A patto però che ci siano contenuti di valore come la mitezza, l'ascolto, l'attenzione. Poi bisogna puntare a riempire di ulteriori contenuti anche ciò che già esiste. Per esempio, sarebbe interessante se i tutori volontari del Veneto [4] diventassero un'esperienza a livello nazionale. Perché, come dico nel libro citando Zagrebelsky, un aspetto importante della mitezza è l'operatività: se vogliamo contrastare la tendenza negativa della società, il volontariato e la cittadinanza attiva rimangono principi cardine. Ma credo anche che dobbiamo far affermare una logica della mediazione, estesa con una legislazione che la attui, perché con essa riusciamo ad affermare la democrazia familiare.
Ma non ipotizza solo un cambiamento normativo, vero?
Mancano soprattutto cultura e formazione per andare nella direzione della giustizia mite: l'utenza, la società, i giudici dovrebbero sempre più uniformarsi a una cultura di questo genere. La mitezza e la mediazione sono elementi della fondamentale educazione alla pace che dobbiamo perseguire nella nostra società. (mf)