Cinema e bambini, una rassegna per riflettere

24/12/2010

La socialità infantile, i servizi educativi per la prima infanzia, l'intercultura: a questi temi la rassegna di cinema I ciucci in tasca ha dedicato due giorni di proiezioni, incontri e dibattiti. Organizzata dal Sottodiciotto Filmfestival e dal Centro nazionale si è svolta a Torino il 13 e 14 dicembre. Di anno in anno la collaborazione tra le due realtà - attente, in modo diverso ma complementare, al mondo dei bambini e degli adolescenti - si conferma una valida occasione di confronto. Dopo aver affrontato nel 2008 il tema della carcerazione minorile e delle misure alternative alla pena con la rassegna Ora d'aria e nel 2009 la questione dell'integrazione dei giovani rom attraverso la sezione Rom città aperta, in occasione dell'undicesima edizione del Sottodiciotto, dedicata al tema dell'identità, il programma speciale proposto dal Centro nazionale ha toccato una delle fasi dello sviluppo dell’individuo più delicate e allo stesso tempo meno considerate tanto dall'informazione quanto dalla politica, la prima e primissima infanzia, dedicando particolare attenzione al mondo della pre-scolarità, ovvero ai nidi e alle scuole per l'infanzia. I ciucci in tasca ha dimostrato come, sempre più spesso, debba essere il cinema, e il documentario in particolare, a farsi carico di rivelare, al di là di tutte le rappresentazioni superficiali, il mondo della prima infanzia, una dimensione tutt'altro che ingenua e neutra, in realtà animata, anche più di quella adulta, da passioni e conflitti, scoperte e problemi. È stato infatti attraverso la visione di una serie di documentari stranieri che il pubblico del festival ha potuto scoprire realtà educative molto diverse da quella italiana: la libertà decisamente anarchica cui vengono "abbandonati" nel corso della ricreazione i piccoli protagonisti di Récréations, lavoro di qualche anno fa ma sempre attuale e sorprendente per la capacità di cogliere le relazioni che si instaurano tra i bambini, di una delle documentariste europee più apprezzate, Claire Simon; l'investimento emotivo ed economico delle famiglie dell'upper class newyorkese al momento della scelta della scuola migliore in cui mandare i propri pargoli, già proiettati verso un radioso futuro, ricco di creatività e successi, mostrato dall'ironico Nursery University degli statunitensi Marc H. Simon e Matthew Makar; il mondo intimo, appartato, segreto di uno dei piccoli ospiti di un asilo svizzero, seguito nei suoi momenti di solitudine dalla telecamera attenta e discreta di Joachim Lafosse in Avant les mots. Realtà ma, soprattutto, prospettive diverse dalle quali guardare alla prima infanzia e ai modelli educativi di altri Paesi, che hanno fatto da premessa a un focus tutto italiano sviluppato ovviamente attraverso la visione di altri documentari girati in Italia, ma anche con la tavola rotonda Chiedo asili, che ha visto confrontarsi sul tema dell'assistenza e dell'educazione per la prima infanzia in Italia alcuni tra i maggiori esperti italiani del campo. Coordinato da Ferruccio Cremaschi, direttore della rivista Bambini e segretario del Gruppo di studio nazionale nidi e infanzia, l'incontro è stato introdotto dallo stesso moderatore che ha tracciato un quadro sintetico delle nuove esigenze delle famiglie con bambini piccoli all'interno di uno scenario sociale profondamente modificato negli ultimi decenni sotto l'impulso di un mercato del lavoro sempre più aperto alle donne e sempre più flessibile e variegato nelle forme di impiego. Ad aprire la discussione è stato Roberto Marino, capo del Dipartimento per le politiche per la famiglia, che ha tracciato un quadro della situazione dei nidi in Italia, da sempre problematica dal punto di vista del rapporto tra domanda e offerta di posti (specie se paragonata a quella di altri Paesi europei nei quali viene coperta pressoché interamente la richiesta), sottolineando, tuttavia, i piccoli ma significativi passi in avanti fatti negli ultimi anni grazie a una serie di interventi governativi e alla buona sinergia mantenuta con gli enti locali; risultati significativi, specialmente se riferiti all'ultimo anno, nonostante i tagli che la Legge di stabilità ha imposto alle politiche sociali. L'intervento di Paola Liberace, autrice del libro Contro gli asili nido, si è focalizzato più che sulla semplice quantità (pur importante in un Paese come il nostro deficitario da questo punto di vista), sulla qualità dei servizi, ovvero sulla loro differenziazione: part-time per le neo-mamme (ma anche per i neo-papà), telelavoro, buoni-famiglia da poter impiegare per iscrivere i bimbi ad asili privati costituirebbero, a parere dell'autrice, una pluralità di opzioni che andrebbero incentivate dallo Stato. Il rischio denunciato dalla Liberace, in un panorama di flessibilità lavorativa come l'attuale, è quello di trasformare i servizi di supporto alla famiglia in veri e propri sostituti della famiglia, sempre più indotta a delegare non solo gli aspetti educativi ma anche quelli affettivi della cura dei bambini. Giuseppe Borgogno, assessore alle risorse educative del Comune di Torino, ha in parte replicato alle proposte della Liberace sottolineando come troppo spesso, così come è avvenuto in ambito anglosassone, una politica di eccessiva incentivazione dell’iniziativa privata nell'ambito dell'educazione e dell'assistenza all'infanzia abbia portato a un abbassamento della qualità globale dei servizi, anche in ambito pubblico. L'istituzione presso il Comune di Torino di una "cabina di regia" del ventaglio di offerta pubblica e privata nel campo dell'assistenza all’infanzia è solo uno dei passi concreti compiuti nell'attuazione di un'idea delle politiche per la famiglia che costituiscono un vero e proprio sostegno alla genitorialità. Borgogno ha altresì rilevato come le proposte avanzate nel libro della Liberace, se attuate, rischino di incentivare, specie in un Paese come il nostro, dove scarse sono le tutele per i lavoratori atipici, la precarizzazione di molte mamme lavoratrici. Tullia Musatti, membro della segreteria Gruppo nazionale nidi infanzia e dirigente di ricerca del Cnr dove si occupa di innovazione nell'ambito dei servizi per la prima infanzia, ha tenuto a sottolineare l'importanza dei nidi e delle scuole per l'infanzia, soprattutto in una società come l'attuale caratterizzata da forte inurbamento, da situazioni familiari spesso ridotte al solo bambino e ai genitori e da un'offerta di spazi, luoghi e situazioni a favore della socialità infantile affatto limitata. Asili e nidi sono i luoghi nei quali si apprendono le regole e si impara a risolvere i conflitti, ma anche e soprattutto quelli in cui si scopre il piacere della condivisione e dell'interazione con gli altri, il tutto a patto di avere servizi di qualità. Uno sguardo sul futuro lo ha offerto l'intervento di Vinicio Ongini, membro dell'ufficio per l'integrazione degli alunni stranieri presso il Ministero dell'istruzione, soprattutto riguardo alla questione della multiculturalità, sempre più pressante, specie nelle scuole per l'infanzia dove la presenza di bambini nati da famiglie straniere ha subito negli ultimi due decenni un fortissimo incremento. Facendo riferimento alla cornice che ha ospitato la tavola rotonda, Ongini ha invitato a prendere esempio dai film e a considerare, al di là delle statistiche, ovviamente necessarie per avere un'idea globale dei fenomeni, anche i singoli casi, dunque a uscire dalle generalizzazioni per guardare a realtà più circoscritte e anche più concrete. Ciò potrebbe ad esempio demistificare i dati allarmistici periodicamente utilizzati dai media per creare attenzione intorno a situazioni decisamente limitate, soprattutto per quanto riguarda il dato della presenza degli alunni stranieri nelle scuole per l'infanzia, per altro per la maggior parte nati in Italia. In sintonia con il filo conduttore della socialità nella prima infanzia la rassegna cinematografica ha continuato a proporre spaccati proprio della realtà italiana al centro del dibattito innescato da Chiedo asili, con un'attenzione particolare per quelle scuole che hanno affrontato meglio la questione della pluralità delle culture di appartenenza e, in senso più generale, delle identità dei più piccoli. I documentari italiani del programma hanno confermato quella che da alcuni anni è ormai una realtà palpabile: la tendenza degli autori a declinare il proprio stile, spesso già delineato e personale, all'interno di uno sguardo consapevole del dovere sociale di confrontarsi innanzitutto con situazioni concrete e della necessità morale, anche da un punto di vista prettamente cinematografico, di trattare i bambini in quanto individui, rendendo la presenza della telecamera il più discreta possibile, ovvero facendola diventare un elemento della quotidianità scolastica, dunque restituendola al suo ruolo di osservatore, magari partecipe ma mai preponderante. Non è certo un caso, per un festival che si svolge ai piedi della Mole, aver inserito nel programma La classe dei gialli di Daniele Gaglianone, che segue nel corso di una giornata qualsiasi una classe di un asilo nel quartiere di San Salvario di Torino: osservando e ascoltando soprattutto i bambini il documentario mostra l'evidenza di un'integrazione non solo possibile ma anche necessaria. Necessaria soprattutto per gli adulti, meno per i bambini, per i quali parole come "tolleranza" e "integrazione" sembrano appartenere a un lessico già datato, frutto di un pensiero che guarda alla diversità ancora come ad un problema da risolvere più che come a una risorsa alla quale attingere. Sotto il Celio azzurro di Edoardo Winspeare è diventato nel corso del 2010 un piccolo caso cinematografico che ha confermato la disponibilità di questo regista a farsi rapire dall'immersione totale in microcosmi che è possibile osservare solo attraverso un'esperienza diretta e ravvicinata. Proprio Winspeare, in compagnia del collega Gianni del Corral, autore del cortometraggio Colors – piccolo e "dolcissimo" inno all'intercultura, ovviamente inserito nel programma della rassegna – ha parlato al pubblico del festival di un anno trascorso dietro la macchina da presa presso la scuola per l'infanzia Celio Azzurro nel corso di un incontro coordinato da Marco Dalla Gassa. Il regista ha parlato della sua sorpresa nello scoprire come, a pochi passi dal Colosseo, simbolo forte di un'identità millenaria, fosse in atto da più di dieci anni un esperimento di educazione all'intercultura che vede coinvolti a tutti i livelli bambini e famiglie dalle più diverse provenienze etniche e sociali. Un film sui bambini nel quale, stranamente, i bambini non sono i soggetti principali, dal momento che, proprio come nel documentario di Gaglianone, sono gli adulti – gli educatori e i genitori – con il loro bagaglio di schemi mentali e modelli ideali già formati, ad aver affrontato un percorso di integrazione e di educazione alla multiculturalità. Il percorso ideale tracciato da I ciucci in tasca ha visto sfilare in rassegna altri titoli, molto diversi tra loro, ma comunque legati dal filo rosso della partecipazione e dell'accoglienza: tra i documentari italiani si è segnalato, in particolare, L'isola dei sordobimbi di Stefano Cattini, ambientato in una scuola per piccoli sordomuti gestita da suore, sensibilissimo nel cogliere le sfumature della relazione particolare che si instaura tra educatrici e allievi. In questo caso quello che solitamente è l'ostacolo principale nell'integrazione con l'Altro, ovvero la lingua, costituisce un barriera che dovrebbe dividere chi è "normale" da chi è "diverso": anche qui lo scoglio è solo all'apparenza insormontabile e, in questo caso più che negli altri, è il caso di dire che le immagini cinematografiche aiutano più di molte parole a cogliere l'essenza delle cose. I ciucci in tasca ha contribuito a dimostrare come il mondo della scuola, a incominciare dagli asili, negli ultimi anni sia diventato uno dei soggetti preferiti dal cinema italiano, soprattutto in campo documentario: i film visti nel corso della rassegna hanno svelato un'immagine mai banale dell'infanzia in netta contraddizione con quella rimandata dai media, in particolare dalla televisione, troppo spesso pronta a cogliere solo la parte più stereotipata dei comportamenti infantili e a restituirla attraverso categorie e linguaggi abusati. Proprio per questo i curatori della rassegna hanno voluto invitare a un incontro pubblico uno degli autori televisivi e cinematografici tra i più eclettici e significativi del panorama italiano recente e non solo, Italo Moscati, autore del documentario Gian Burrasca & C. I primi giorni di scuola e anche i secondi. Il film, del quale sono stati mostrati al pubblico ampi brani nel corso del dibattito moderato da Fabrizio Colamartino, ha fatto da ponte tra due realtà – televisiva e cinematografica – mostrando l'evoluzione della rappresentazione della scuola italiana attraverso un montaggio di immagini tratte da inchieste e programmi televisivi tra i più svariati e sequenze di film. Dalla conversazione con Moscati è emerso come, quella che è stata insieme alla scuola una delle principali agenzie della formazione linguistica e culturale in Italia – la televisione – abbia in parte tradito il suo mandato ideale, appiattendosi sempre più spesso sui modelli imposti dalla televisione commerciale, anche se, proprio prodotti come Gian Burrasca & C. (prodotto per il ciclo di Rai3 La grande storia) costituiscano dei validi anticorpi contro il dilagare della banalità televisiva. (fc)  

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