Incontri ravvicinati del terzo tipo

20/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Infanzia Titoli Rassegne filmografiche

di Steven Spielberg

(Usa, 1977)

Sinossi

Roy, un operaio della compagnia elettrica dello stato dell’Indiana, durante la riparazione di una centralina, avvista un Ufo. Non è l’unico: anche Jillian con il figlioletto Barry e molti altri curiosi, come attirati da una premonizione, assistono al passaggio dell’oggetto volante. L’avvistamento cambia la vita di Roy che è talmente convinto dell’esistenza dei dischi volanti che viene licenziato dal lavoro e successivamente abbandonato dalla moglie. Nel frattempo, gli alieni rapiscono Barry, e Jillian prende a dipingere ossessivamente sempre lo stesso paesaggio: una montagna identica a quella che Roy scolpisce con qualsiasi sostanza gli capiti tra le mani dal giorno in cui ha avvistato gli Ufo. È la Devil’s Tower, presidiata dalle autorità a causa di un incidente ecologico: in realtà si tratta di una scusa per sgombrare la zona dalla popolazione. Sotto la guida del professor Lacombe, infatti, un’equipe di scienziati è riuscita a stabilire un contatto con gli alieni e a fissare un incontro. Roy e Jillian riescono, nonostante tutto, a raggiungere la montagna: alla donna viene restituito suo figlio; Roy, invece, si unisce a un gruppo di volontari che si imbarcano sull’enorme astronave.

Analisi

I bambini e la loro capacità di credere in ciò che agli adulti sembra impossibile, in un cinema come quello di Steven Spielberg, fondato anzitutto sull’elaborazione in chiave spettacolare di temi fantastici e di archetipi fiabeschi, sono tra le costanti più ricorrenti. E lo sono a tal punto che, in quello che si può considerare il primo film a grande budget in cui l’autore – reduce dal successo commerciale de Lo squalo (1975) – riuscì a riversare nella loro forma più compiuta temi e ossessioni da tempo coltivate, il vero protagonista è un adulto che, però, presenta tutte le caratteristiche di un bambino. La prima volta che incontriamo Roy, lo troviamo intento a giocare con un trenino elettrico. Subito dopo suo figlio gli chiede di aiutarlo a risolvere un problema di matematica e, per tutta risposta, il protagonista tenta di spiegargli la logica del problema utilizzando proprio quel trenino che sembra esercitare su di lui molto più fascino di quanto non faccia sui suoi figli: Roy, infatti, mette in scena un deragliamento ferroviario in miniatura, invitando il figlio a dare la soluzione prima che il “disastro” si compia. Invano, purtroppo: il bambino non riesce a cogliere il nesso esistente tra i freddi numeri del suo compito scolastico (la scienza, il dovere) e la pittoresca spiegazione che gli fornisce il padre (la fantasia, il gioco). I figli di Roy sono, infatti, incapaci di utilizzare l’immaginazione per andare oltre la superficie delle cose: poco dopo, alla proposta del padre di andare al cinema per assistere a una proiezione di Pinocchio – il film di Walt Disney del 1939 – si rifiutano, affermando di essere troppo grandi per un cartone animato per bambini. Roy ribatte che lui, invece, è “cresciuto” proprio grazie a quel film (ed è significativo che, da questo punto in poi, tutto il film si trasformi in una corsa del protagonista verso la bocca di quella balena simbolica che, in fondo, è l’astronave aliena dalla quale, nel finale, verrà inghiottito per un viaggio verso un altro mondo). Roy, appunto, rimasto bambino ma con addosso tutte le caratteristiche dell’adulto, dovrà attendere la fine del film per poter coronare il suo sogno, coltivato inconsciamente, e non senza timore e angoscia, per l’intera durata della pellicola, addirittura plasmato in un plastico – sotto la guida di un’ispirazione telepatica molto simile a quella che unirà il piccolo Elliott all’alieno in E.T. L’extraterrestre– in una sorta di delirio tattile, di regressione al bisogno infantile di manipolazione della materia, e la cui visione, infine, gli viene proibita, così come al bambino è vietato di assistere a uno spettacolo da parte degli adulti. Chi, invece, non deve aspettare per entrare in contatto con le creature è il piccolo Barry: che sia proprio lui uno dei depositari di quei segreti fantastici che permettono all’uomo di andare al di là del quotidiano per aprirsi al possibile (anche grazie al cinema, sembra suggerire Spielberg), lo testimonia il fatto che nella sua stanzetta sono presenti molti dei simboli di quel mondo che viene rappresentato in questo così come in molti altri film dell’autore. I giocattoli che, animandosi sotto l’influsso dell’astronave aliena, danno vita a un carosello di luci e suoni che ravvivano la calma notturna della casa, sono un invito al gioco non solo per Barry, ma anche per lo spettatore, soprattutto per quello adulto, che può così ritrovare, sotto le sembianze amichevoli e innocue di uno spettacolo, troppo spesso definito con eccessiva corrività come “cinema giocattolo”, i miti fondamentali di una parte molto importante della sua vita, ovvero l’infanzia. In fondo, il Roy Neary di Incontri ravvicinati del terzo tipo non è altri che l’Elliott di E.T., soltanto un po’ meno consapevole delle proprie capacità immaginative e più legato – proprio dal suo essere un adulto – alla contingenza delle cose, alla vita concreta di tutti i giorni. Ciò si riflette, naturalmente, sull’intero impianto spettacolare del film, che potrebbe essere visto come una sorta di “prova generale” di E.T., seppur ancora legata all’obbligo della plausibilità scientifica, a un meccanismo spettacolare che deve essere mastodontico, perché costretto a mostrare un universo non ancora a misura di bambino e dunque non totalmente slegato da qualsiasi vincolo con la razionalità. Fabrizio Colamartino

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