Zona di guerra

20/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Violenza intrafamiliare Titoli Rassegne filmografiche

di Tim Roth (Gran Bretagna, 1998)

Sinossi

Un antiquario di mezza età si trasferisce nelle campagne del Devon (non molto lontano da Londra) con la famiglia composta dalla moglie (in stato di gravidanza avanzata), la figlia diciassettenne Jessie e il figlio quindicenne Tom.

Tra l’uomo e Jessie si consuma ormai da tempo l’incesto, all’insaputa degli altri membri della famiglia. Un giorno Tom scopre tutto, ma tace, forse per non turbare la madre, giunta a pochi giorni dal parto. Alcuni mesi dopo, quando il ragazzo inizia a sospettare che il padre abusi anche della sorellina di pochi mesi, prima instilla il sospetto in sua madre, poi, con la complicità di Jessie, resasi conto dell’abbrutimento nel quale è caduta, accoltella a morte il padre.

Analisi

Ciò che sorprende in questa pellicola d'esordio nella regia del celebre attore Tim Roth è la capacità di restituire, attraverso le quattro figure coinvolte nel dramma rappresentato, gli atteggiamenti, solo apparentemente contraddittori, di coloro che sono coinvolti – direttamente o meno – in un incesto. Così come Tom che, nell'assistere casualmente (e, ovviamente, non visto) a un amplesso tra il padre e sua sorella Jessie, si ritrae più incredulo che inorridito dalla finestra davanti alla quale si era fermato, quasi per cancellare dallo sguardo un'immagine che vuol credere essere frutto di un'allucinazione, allo stesso modo sono spesso coloro che vivono a stretto contatto con chi è coinvolto in prima persona nell'abuso a non voler credere a ciò che è sotto i loro occhi quotidianamente. La figura di Tom è di certo quella più interessante da questo punto di vista: è un adolescente che osserva taciturno la realtà senza esprimere giudizi su quanto ha visto, almeno fino a quando non giunge a toccare con mano quanto ha avuto sotto gli occhi da chissà quanto tempo: ulteriormente significativa la sequenza in cui lo vediamo riprende, sempre inosservato, l'ennesimo squallido amplesso tra il padre e Jessie con una videocamera e, poco dopo lo vediamo scaraventare in mare l'apparecchiatura, quasi a volersi convincere dell'irrealtà di quanto ha visto o credere che distruggendo l'immagine registrata di quella realtà si possa cancellare la realtà stessa. Solo quando incomincia a sospettare che il padre possa abusare persino della sorella più piccola di appena pochi mesi, Tom diventa il personaggio risolutivo della vicenda, il granello che fa inceppare l'ingranaggio perverso messo in moto dalla follia paterna. Non meno rappresentativo di quanto avviene di solito nella realtà è il comportamento di Jessie: la ragazza è psicologicamente succube del padre e prova un acuto senso di colpa nei confronti della famiglia, sentendosi paradossalmente responsabile di quanto accade. Da un lato per il bisogno di difendere l'immagine del genitore e conservarla per così dire “pura”, dall'altro per esorcizzare l'angoscia della situazione vissuta, l'incesto viene ridefinito dalla ragazza in termini di responsabilità personale e di colpa, anche quando il fratello le fa capire di aver scoperto tutto, mettendola di fronte all'impossibilità di continuare a nascondere il suo terribile segreto.In una sequenza il fratello riesce a mettere la ragazza di fronte alla cruda realtà dei fatti esercitando con violenza il ruolo di “voce della coscienza”: un ruolo, questo, reso con raffinatezza dalla costruzione dell'immagine (i due fratelli stanno tornando a casa in automobile di notte, Jessie è alla guida e Tom sul sedile posteriore). Quanto alla madre, completamente assorbita dalla cura della neonata, è la figura più distaccata ed estranea all'accaduto ma, non per questo, meno complice di una situazione di dissesto emotivo che trapela dai rari dialoghi e, soprattutto, dalla calma apparente che regna all'interno della famiglia Zona di guerra si impone, dunque, come una sorta di saggio sull'abuso sessuale all'interno della famiglia, di studio dettagliato dei comportamenti dei suoi membri, del ruolo che ciascuno assume più o meno consapevolmente di fronte ad esso. Un saggio reso ancora più esemplare dalla scrittura austera adottata da Roth (le atmosfere ricordano fortemente quelle de Il giardino di cemento di Andrew Birkin, anche se in quel film l'incesto consumato tra fratello e sorella era teso a tenere unita la famiglia o, per lo meno, ciò che ne rimaneva all'indomani della morte dei genitori) che riesce a concentrarsi sui personaggi, facendo parlare le loro azioni, seguendole in ogni minimo dettaglio, senza cedere a facili drammatizzazioni tipiche di tanta fiction televisiva. Il titolo allude tanto alla famiglia in quanto campo di battaglia al cui interno implodono orribilmente tensioni tenute segrete tanto dalle vittime quanto (ovviamente) dai carnefici, tanto al luogo in cui avvengono gli incontri tra Jessie e suo padre, un bunker abbandonato della seconda guerra mondiale a pochi passi da una scogliera battuta da un mare costantemente in tempesta, probabile metafora della sensazione di intangibilità dell'uomo durante gli abusi nei confronti della figlia o, forse, del terribile “isolamento” dei due corpi prigionieri di una dimensione ferina e alienante.