Il destino nel nome

di Mira Nair

(USA/India, 2006)

Sinossi

La saga familiare dei Ganguli comincia in India negli anni ’70 a bordo di un treno sul quale Ashoke viaggia leggendo i racconti di Nikolaj Gogol. A seguito di un terribile incidente riesce a salvarsi proprio sventolando alcune pagine del libro e segnalando così ai soccorritori la sua presenza. Sconvolto dall’incidente si trasferisce negli Stati Uniti e porta con se la moglie Ashima, appena sposata con un matrimonio combinato dalle famiglie. Dopo qualche difficoltà iniziale per ambientarsi in un mondo culturalmente e climaticamente così diverso, nasce il primogenito che i genitori decidono di chiamare Gogol in attesa del nome ufficiale la cui scelta spetta alla nonna indiana. Il bambino finisce per affezionarsi a quel nome un po’ strano tanto da preferirlo a Nikhil, il suo nome vero. Le cose cambiano quando, finite le scuole superiori, Gogol si appresta ad iniziare gli studi universitari e si pone il problema della futura vita professionale da affrontare con un nome così buffo, tanto che finisce per fare la variazione all’anagrafe con un certo disappunto del padre. Nel corso di un lungo soggiorno in India la famiglia visita il Taj Mahal e Nikhil decide di studiare architettura. La sua vita, come quella della sorella Sonia, è ormai distante dai genitori sia in senso fisico che culturale e Nikhil sembra intenzionato a sposare Maxine, una ragazza dell’alta borghesia statunitense. La morte improvvisa del padre però lo getta in una profonda crisi esistenziale e culturale che lo riporta alle sue radici. Ligio alla tradizione si rasa i capelli e con la madre e la sorella si reca in India a spargere nel fiume sacro le ceneri del defunto. Al suo ritorno negli Stati Uniti si innamora di Moushumi, una ragazza di origine indiana, che sposa in tempi molto rapidi. Mentre Ashima decide di tornare nell’amata India per coltivare la passione giovanile per il canto e Sonia si appresta a sposare un ragazzo di colore, la relazione con Moushumi naufraga e Nikhil-Gogol si sente finalmente libero di essere se stesso e di decidere della propria vita.

Introduzione al Film

Tra Hollywood e Bollywood

Il destino nel nome – The Namesake è l’ottavo lungometraggio della regista di origini indiane Mira Nair. La sua filmografia può essere divisa in due blocchi: da una parte ci sono i film “indiani” e dall’altra i film “americani”. Del primo blocco fanno parte Salaam Bombay!(1988), Kamasutra (1996), Monsoon Wedding (2001) vincitore del leone d’oro alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, e Il destino nel nome – The Namesake (2006); nel secondo invece si collocano Mississippi Masala (1992), La famiglia Perez (1995), Gli occhi della vita (2002) e La fiera delle vanità (2004). Non si tratta però, evidentemente, né di una distinzione cronologica, né tanto meno di una netta differenza stilistica o tematica. Laureatasi prima a Delhi e poi a Harvard, già a partire dal suo film d’esordio Salaam Bombay! (1988) che vedeva una co-produzione tra India, Francia e Gran Bretagna, Nair ha sviluppato un linguaggio proprio che va ben al di là dei confini culturali o fisici degli stati per cercare di esplorare e raccontare i sentimenti e le verità dell’uomo alle prese con le sfide della società multietnica. L’ibridazione culturale dei personaggi si riflette e si estende all’ibridazione produttiva che tenta, con risultati altalenanti ma sempre interessanti, una terza via tra l’estetica di Bollywood, la gigantesca fabbrica dei sogni orientale, e quella di Hollywood. Partendo da una fonte letteraria che le consente di cambiare registro storico e geografico, la regista gioca a spostare nel tempo e nello spazio alcuni temi ricorrenti quali l’amore, l’erotismo, la morte, l’emigrazione, l’incontro/scontro tra cultura di origine e cultura di adozione e i conflitti generazionali che da questo scaturiscono. Nel fare questo da un lato è ben attenta a quella misura tra ironia e sentimento, regola ferrea degli studios, che salva dalle digressioni eccessivamente melodrammatiche, e dall’altro non esita a concedere spazio con un certo compiacimento alla rappresentazione coreografica e scenografica, in particolare nel raccontare feste e rituali, che rimanda in maniera diretta alle produzioni del cinema indiano. Il destino nel nome – The Namesake è in questo senso uno degli esempi più riusciti di equilibrio formale tra i due emisferi cinematografici. Il racconto della saga familiare dei Ganguli, nel passaggio tra l’immigrazione e la costruzione di una nuova identità culturale che abbraccia due generazioni, diventa l’incontro, non sempre perfettamente compatibile, tra due modi di fare cinema eticamente ed esteticamente diversi. Come accennato però, gli aspetti stilistici rimangono sullo sfondo, messi in secondo piano dalla forza dei sentimenti raccontati, dall’emotività che Nair sa dosare con efficacia evitando luoghi comuni e semplificazioni. Fondamentale in questa direzione è l’apporto di tutti gli interpreti tra i quali emerge Tabu, nel ruolo della madre Ashima, dalla recitazione calibrata e attenta ai minimi dettagli espressivi.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il destino è nel nome, anche se non lo si sa

Gran parte della storia del film ruota attorno al personaggio di Gogol. Nato negli Stati Uniti pochi mesi dopo che i suoi genitori si sono trasferiti da Calcutta, il protagonista cresce inserendosi nella nuova cultura. Il nome scelto dai suoi genitori, omaggio allo scrittore russo molto amato dal padre e in qualche modo meritevole di avergli salvato la vita, viene poco dopo sostituito da Nikhil, ben più consono alla tradizione. Tuttavia già dall’asilo il bambino rivendica la sua libertà di scelta chiedendo a maestre e compagni di essere chiamato Gogol. I primi problemi arrivano però alle scuole superiori quando durante una lezione di letteratura il professore racconta la biografia controversa del grande scrittore russo scatenando l’ilarità e le prese in giro della classe. Poco dopo Gogol sceglie di cambiare il suo nome all’anagrafe e diventa Nikhil, ben presto abbreviato in Nick. La sua scelta però non rappresenta un tentativo di riappropriarsi della cultura d’origine, ma evidenzia piuttosto la volontà di svincolarsi dallo stile di vita dei genitori, ancora fortemente legati alle tradizioni del proprio paese. Il viaggio in India che precede l’iscrizione all’università mette in luce il forte contrasto tra il punto di vista dei genitori e quello dei figli, portando così a galla un conflitto generazionale. Mentre i genitori vivono il soggiorno in India come un meraviglioso ritorno a casa, Nikhil e la sorella Sonia non riescono ad ambientarsi in una realtà che vedono totalmente estranea e sognano il loro ritorno a casa. Tuttavia nessuno è insensibile alla bellezza dei paesaggi, all’invasione dei colori e alla magnificenza architettonica del Taj Mahal; è proprio nella visita a questa meraviglia del mondo che Nikhil sembra trovare un punto di contatto tra la sua cultura e quella dei genitori, tanto che decide di esplorare questa via maturando la decisione di studiare architettura. In realtà il ritorno negli Stati Uniti e la partenza per l’università di Yale allontanano ulteriormente Nikhil. Il suo distacco nei confronti del padre è sempre più profondo tanto che quando quest’ultimo nel salutarlo prima della partenza gli fa dono di un libro di racconti di Gogol faticosamente reperito, Nikhil lo accetta con indifferenza e lo dimentica in uno scatolone. L’entusiasmo per la sua nuova vita indipendente e il rapporto sentimentale con Maxine, biondissima e americanissima figlia della borghesia statunitense, portano Nikhil a trascurare sempre di più i genitori. Attratto dallo stile di vita dei genitori della sua fidanzata è come se tentasse di cancellare o dimenticare il proprio passato in una specie di sogno ad occhi aperti. Il brusco risveglio causato dalla morte improvvisa del padre però lo riporta violentemente ai suoi doveri familiari e alle sue tradizioni. L’atto di rasarsi il capo, precetto religioso per i figli in lutto, è compiuto con una solennità che indica un cambiamento radicale della sua personalità. In questa recuperata appartenenza etnica non c’è più spazio per Maxine, ma all’ubriacatura statunitense fa seguito un’immersione altrettanto squilibrata nella cultura di appartenenza. Il matrimonio con Moushumi è dettato da evidenti motivazioni etniche ed erotiche ma non ha nulla a che vedere con la condivisione di un progetto comune, ed è quindi destinato a fallire. Nel ritrovare il libro donatogli dal padre, Nikhil si riconcilia con la sua memoria e capisce che l’unica via per poter essere veramente libero dagli estremismi culturali è quella di essere se stesso, seguendo proprio l’esempio dei genitori.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Per i temi affrontati e il linguaggio utilizzato Il destino nel nome – The Namesake è adatto agli studenti delle scuole medie superiori che possono identificarsi meglio nel protagonista e cogliere gli aspetti più complessi della vicenda. Il film si presta ad un approfondimento sui temi dell’emigrazione dal paese d’origine, dell’inserimento in una nuova realtà culturale e del difficile rapporto tra generazioni della stessa famiglia cresciute in paesi diversi. Per un maggior approfondimento si consiglia anche la visione di East is East (O’Donnell, 1999) che affronta il tema del conflitto generazionale tra immigrati pakistani nell’Inghilterra degli anni ‘70, Sognando Beckham (Chadha, 2003) che racconta con tono leggero la difficile compatibilità tra tradizioni orientali e cultura occidentale, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano (Dupeyron, 2003) in cui il protagonista è alla ricerca di un padre e di una identità culturale e religiosa e Mio figlio il fanantico (Prasad, 1997) che stravolge il luogo comune secondo il quale i figli sarebbero meno tradizionalisti dei padri. Ludovico Bonora

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