Il Castello errante di Howl

15/07/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Sviluppo psicologico Titoli Rassegne filmografiche

di Hayao Miyazaki

(Giappone, 2004)

Sinossi

Sophie è una ragazza semplice e umile, che lavora con la madre nel negozio di cappelli appartenuto al padre deceduto. Siamo in Europa verso la fine dell'Ottocento, e per una ragazza dell’estrazione sociale di Sophie, peraltro vessata da una madre più attenta a cercarsi un nuovo marito che non alle sorti della figlia, il futuro appare tutt’altro che roseo.  A sconvolgere la vita di Sophie provvede uno straniero che irrompe letteralmente nella sua vita nel corso di una fuga precipitosa dalle guardie della crudele Strega delle Lande Desolate. Trasformata da quest’ultima in una novantenne malferma, Sophie è costretta ad abbandonare la propria abitazione. Si dirige verso le lande circostanti, e durante il tragitto si imbatte in uno spaventapasseri che la convince a mettersi sulle tracce del mago Howl e del suo castello semovente, nella speranza che costui sia in grado di farle riacquistare le sue fattezze originarie. Ma una volta giunta al castello, la ragazza scopre che il mago altri non è che lo straniero che ha innescato involontariamente la sua trasformazione. Nel frattempo, anche la strega subisce una mutazione, mentre Sophie, che si è impiegata come governante del castello, stringe un patto con il demone del fuoco Calcifer che vive nel camino del maniero: lei scoprirà il segreto del vincolo magico che lega indissolubilmente le esistenze di Howl e Calcifer, e quest’ultimo le restituirà il suo aspetto originario.

Introduzione al Film

Un ponte fra Oriente e Occidente

Nono lungometraggio per il grande schermo di Hayao Miyazaki, Il castello errante di Howl giunge, in ordine temporale, dopo lo spartiacque costituito da La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi, Giappone, 2001), la pellicola che, forte di un Orso d’Oro al Festival Internazionale del Film di Berlino e l’Oscar come Miglior Lungometraggio Animato, ha rappresentato il salto definitivo del cineasta nipponico verso le grandi platee internazionali. Un approdo sancito dall'inclusione di Il castello errante di Howl fra i lungometraggi del Concorso Internazionale della 61ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Quasi a voler sottolineare questa sensibile apertura verso le platee internazionali, dopo l'omaggio all'iconografia fantastica nipponica dei precedenti La Principessa Mononoke (Mononoke Hime, Giappone, 1999) e, appunto, La città incantata, Miyazaki torna a rielaborare un immaginario prettamente occidentale, per la precisione europeo, con una chiarezza espositiva che gli mancava da Porco Rosso (Kurenai no buta, Giappone, 1992), ambientato nell'Italia della Seconda Guerra Mondiale. Non a caso, il punto di partenza è un romanzo per ragazzi della scrittrice britannica Diana Wynne Jones – sul quale il regista, autore anche della sceneggiatura, opera delle sostanziali modifiche, condensando più personaggi in uno ed eliminando interi episodi –, e l'ambientazione non esattamente definita sul piano geografico condensa scorci "londinesi", "parigini" e "viennesi" a cavallo fra Diciannovesimo e Ventesimo Secolo, in una sorta di suggestivo mélange topografico. Non manca, a livello produttivo, una significativa partecipazione di maestranze e capitali da Hollywood: tra i produttori esecutivi del film, infatti, figura John Lasseter, presidente e principale regista della Pixar, la casa di produzione di pellicole d'animazione che proprio in quegli stessi mesi, con il successo di Gli Incredibili (The Incredibles, USA, 2004), diretto da Brad Bird, stava completando il definitivo sorpasso, in termini di incassi e di prestigio, nei confronti della più "tradizionalista" Disney. Tuttavia, i puristi dell'animazione nipponica e gli esegeti di colui che già da qualche anno era indicato come il più grande autore di anime della Storia, non ebbero modo di avanzare alcuna riserva circa un eventuale snaturamento della poetica e dello stile del regista. Malgrado le evidenti responsabilità nei confronti di una platea internazionale, infatti, Il castello errante di Howl conserva intatti tutti i tratti somatici del cinema di Miyazaki, complice anche il contributo di alcuni fidati collaboratori del regista, a partire dall’autore delle musiche Joe Hisaishi. L'afflato antimilitarista si sposa a un chiaro messaggio ecologista, e su tutto domina una visione intimamente religiosa dell'esistente, in cui - secondo una modalità di sguardo tipicamente orientale - la natura in tutte le sue manifestazioni è l'espressione più florida e compiuta del divino e del trascendente. Al contrario, gli esseri umani di Miyazaki sono sempre "piccoli uomini": misantropi autoreclusi in manieri semoventi, streghe malvagie e guerrafondaie che letteralmente si "restringono" fino a diventare delle innocue vecchine, fanciulle che assumono la fisionomia di novantenni. In questo modo, quei grumi di senso che avrebbero potuto apparire massimalisti e sentenziosi, come appunto l’ostentato pacifismo, vengono ricondotti a una dimensione intimamente umana, quotidiana, persino “ordinaria” anche nelle sue derive fantastiche e visionarie. Il cinema dell’autore giapponese, d’altronde, non è mai abitato da eroi a tutto tondo: chi si propone come tale, o si rivela un essere fallace come e più dei personaggi che lo accompagnano o lo avversano, o viene rapidamente ridimensionato dagli eventi. Questa inclinazione a porre sullo stesso piano figure positive e negative determina una rottura decisa delle antinomie fra Bene e Male: nel cinema di Miyazaki i due poli convivono, e la naturale predestinazione dei personaggi a pendere verso l’uno piuttosto che verso l’altro viene sostituita dal libero arbitrio individuale, fonte di palingenesi e riconversioni. In tal senso, il personaggio di Sophie, che sin dalle prime battute si mostra come il più dotato di buonsenso ed equilibrio, si configura come un autentico alter ego del regista.

Il ruolo del minore e la sua rappresentaione

La piccola maestra

Libera rielaborazione dell'archetipo letterario, tipico di tante celebri fiabe europee, dell'orfana umiliata e offesa da una sorte avversa e dalla crudeltà degli uomini, Sophie rappresenta un modello narrativo che vanta, nel corso degli ultimi due secoli, un numero impressionante di varianti, da Charles Dickens in giù. Nel personaggio principale di Il castello errante di Howl, dunque, Miyazaki concentra una buona parte delle suggestioni mutuate dall'immaginario fiabesco europeo, almeno per quanto riguarda la definizione dei caratteri: Sophie soffre la morte del padre, scomparso anni prima, e l'indifferenza della madre, inoltre è costretta a misurarsi quotidianamente con il lavoro, privandosi completamente dell'elemento ludico che dovrebbe rappresentare un fattore imprescindibile della sua crescita. Tuttavia, Sophie non è semplicemente una riproposizione pedissequa di determinati tòpoi narrativi, bensì una loro sofisticata rielaborazione, innestata da elementi psicologici che attengono più da vicino alla narrativa orientale, e segnatamente all’universo retorico del regista. Al patetismo del feuilleton, infatti, Miyazaki sostituisce una sorta di vitalismo “positivista”, che fa del personaggio principale un'eroina volitiva e tenace, capace di non perdersi d'animo neanche nelle situazioni più paradossali. Come la piccola Chihiro del precedente La città incantata, Sophie reagisce alle avversità con un misto di determinazione e raziocinio, guidata da un buon senso che sembra appartenere a un'età ben più matura di quella effettiva della ragazza: anche le situazioni più assurde e sconvolgenti, come lo sprofondare in una dimensione parallela in cui le regole della logica risultano completamente sovvertite (nel film del 2001), o trasformarsi all'istante in una claudicante vecchina, vengono affrontate con logica e pragmatismo, oltre che con notevole spirito di adattamento. Proprio in questo cortocircuito fra causa ed effetto risiede, da sempre, il più evidente fattore di novità dell'eroe o dell'eroina miyazakiani: non più figure remissive e predestinate alla sofferenza, ma degli autentici stoici, capaci di caricarsi sulle spalle lo stupore del cambiamento e il dolore che da esso ne deriva, e di rimboccarsi letteralmente le maniche per venire a capo delle difficoltà, a prescindere dalla loro natura. Sophie rispetta alla perfezione un tale parametro: la sua vita subisce in un istante una rivoluzione copernicana, la ragazza si concede appena il tempo di ricomporsi e quindi comincia a darsi da fare per recuperare ciò che le è stato sottratto. Significativo il fatto che la privazione di cui Sophie viene fatta oggetto riguardi la sua giovinezza. A dispetto dell'età, infatti, stretta nella morsa di un conflitto fra due opposte fazioni, Howl e la Strega delle Lande Desolate, che si comportano come due divi capricciosi, Sophie si dimostra la più saggia, la più assennata, la più logica; in una parola, la più adulta. Chiaro l'intento del regista di definire la ragazza come un individuo che ha appreso prima del tempo il significato e l'importanza della responsabilità, soprattutto nei confronti dell'Altro da Sé; mentre Howl e la strega, reclusi per anni nelle rispettive prigioni dorate, hanno di fatto bloccato la loro crescita a una dimensione autoreferenziale. La prospettiva esistenziale esogena di Sophie si scontra dunque con quella completamente endogena dei due contendenti, e fra i tre il ruolo maieutico viene immediatamente assunto dalla prima. È per mezzo di Sophie che Howl e la strega rivelano i rispettivi traumi, si confrontano, analizzano il senso della loro conflittualità. Ed è sempre attraverso la ragazza che entrambi apprendono la pratica della “compassione”, intesa come condivisione di sofferenza, riattivando quel percorso di crescita e maturazione rimasto per molto tempo “congelato”. In definitiva, Il castello errante di Howl ribalta i luoghi comuni inerenti a un canonico processo di crescita del minore messo a confronto con figure più grandi: nel film di Miyazaki è il minore l’agente di crescita per degli adulti riluttanti ad accettare il loro status. Un ribaltamento semantico che ridefinisce i ruoli e ribalta le prospettive, da cui si può distillare una morale tanto semplice quanto inappellabile: la saggezza non è una questione di età, ma di attitudine.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Dal punto di vista della definizione del personaggio principale, Il castello errante di Howl si configura come una sorta di seguito ideale di La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi, Giappone, 2001), precedente film del regista. Sul versante “minori nel corpo di adulti”, poi, la filmografia è molto vasta: dalla produzione Disney Tutto accadde un venerdì (Freaky Friday, USA, 1977) di Gary Nelson al suo remake ufficiale Freaky Friday (id., USA, 2003) di Mark Waters, passando per le variazioni sul tema Tale padre, tale figlio (Like Father, Like Son, USA, 1987) di Rod Daniel e Viceversa (Vice Versa, USA, 1988) di Brian Gilbert, tutti incentrati sullo “scambio di corpi” fra un ragazzino o una ragazzina e un genitore dello stesso sesso. Mentre Da grande (Italia, 1987) di Franco Amurri e il suo remake americano Big (id., USA, 1988) di Penny Marshall mettono in scena una repentina crescita di un bambino, che si ritrova da un momento all’altro invecchiato di trent’anni. Un utile confronto, sul tema del rapporto fra minori e presunte figure maieutiche che, per una ragione o l’altra, vengono meno alla loro missione, può essere operato con la pellicola Idolo infranto (The Fallen Idol, Regno Unito, 1948) di Carol Reed. Sergio Di Lino

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