Bubble

13/07/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Disturbi psichici Titoli Rassegne filmografiche

di Steven Soderbergh

(USA, 2005)

Sinossi

Siamo in un piccolo centro abitato dell'Ohio. Nella locale fabbrica di bambole lavorano Martha, una donna di mezza età che fuori dall'ambiente di lavoro si prende cura dell'anziano padre, e Kyle, un adolescente che vive con la madre. A dispetto della differenza di età, fra i due operai si è instaurata con il tempo una singolare amicizia, fatta di prolungati silenzi alternati a conversazioni laconiche, e di piccole gentilezze reciproche, compiute con una mancanza di trasporto che sfiora l'anaffettività. I ritmi di vita rigidamente regolamentati dagli orari della fabbrica, e la ripetizione quasi rituale, ogni giorno, delle medesime azioni, vengono messi in discussione dall'arrivo di una nuova collega: è Rose, una ragazza madre, che suscita da subito le attenzioni di Kyle. Il ragazzo si lascia sedurre dalla nuova arrivata, malgrado la sua amica gli confessi apertamente di non fidarsi di lei. Ciononostante, il trio tenta di trovare un nuovo equilibrio interno, mediando - in particolar modo le due donne - fra attrazioni e ostilità reciproche. Un giorno, però, Rose viene trovata morta nella sua abitazione, strangolata. Per la sonnolenta comunità di provincia è una scossa elettrica, ma le indagini della polizia non durano a lungo. Ben presto, infatti, la colpevole viene individuata: è la stessa Martha, che aveva covato a lungo e in silenzio una sorda gelosia nei confronti della ragazza, deflagrata infine a seguito di un banale diverbio.

Introduzione al Film

Delitti di provincia

Incastonato fra due grosse produzioni quali Ocean’s Twelve (id., USA, 2004) e The Good German (id., USA, 2006), Bubble è il quindicesimo lungometraggio – ai quali va aggiunta la serie televisiva K Street (id., USA, 2003), dieci episodi della durata di trenta minuti ciascuno – in sedici anni di attività di Steven Soderbergh, uno dei cineasti più eclettici e prolifici del panorama statunitense, capace di transitare dentro e fuori Hollywood, ovvero di lavorare all’interno e all’esterno delle logiche produttive e mercantili dell’industria cinematografica, con una naturalezza che forse, oggi, appartiene al solo Gus Van Sant. Proprio Bubble è una dimostrazione particolarmente illuminante di tale capacità di transizione da un regime produttivo a un altro. Si tratta, infatti, di un’opera a bassissimo budget, girata in digitale in pochi ambienti dal vero e con una troupe ridotta; inoltre il cast è composto unicamente da attori non professionisti scelti tra gli abitanti della località dove sono ambientate le riprese. La sceneggiatura è firmata da Coleman Hough, già autore dello script di Full Frontal (id., USA, 2002), forse il film più sperimentale e “fuori mercato” del regista, realizzato anch’esso a costi contenuti, seppure non in misura così spartana. Peculiare, inoltre, la strategia distributiva voluta da Soderbergh: negli Stati Uniti e in altri paesi il film è uscito contemporaneamente nelle sale, in pay per view e in DVD, primo esempio di rilievo di distribuzione “orizzontale” di un lungometraggio cinematografico. Sul piano filmico, Bubble può essere definito come un ibrido fra un racconto di impianto verista, alla Ken Loach, e un noir decostruito e con lievi tocchi surreali, che in alcuni passaggi lambisce le atmosfere oniriche e visionarie di David Lynch. La componente thrilling è in realtà talmente esile che praticamente non esiste: di fatto, le indagini della polizia avvengono quasi completamente al di fuori del tessuto narrativo, e lo spettatore viene posto bruscamente di fronte allo scioglimento dell’intreccio, senza avere avuto la possibilità di seguirne gli sviluppi. A Soderbergh, evidentemente, interessa altro: nella fattispecie, comporre una miniatura sul grigiore della vita di provincia americana, qui colta nella sua quintessenza più deteriore. Il lavoro in fabbrica, la reiterazione infinita di una routine fattasi con gli anni puro ritmo vitale, la degradante empatia dei rapporti umani e familiari, la coazione a ripetere di abitudini, gesti e parole ormai svuotati di ogni significato, e infine l’assenza di orizzonti, linee di fuga, eventi o circostanze che esulino dal ciclico ripetersi di giorni sempre uguali, costituiscono un humus sottoculturale all’interno del quale covano pulsioni che i personaggi non sanno neanche verbalizzare. La silenziosa gelosia di Martha nei confronti della nuova arrivata, ovvero colei che possiede tutto ciò che la determina come identità femminile, e che a lei sembra essere stato sempre negato (è giovane e bella, ma soprattutto è madre ed è desiderata da un uomo), nasce proprio dai silenzi imposti come statuto comunicativo all’interno della placida comunità dell’Ohio in cui è ambientato il racconto; e l’assassinio è una scintilla nel buio, la smagliatura nel tessuto di amniotica inconsapevolezza che spezza all’improvviso l’opacità uniforme delle vite dei residenti e della loro percezione delle stesse. Per poi finire rapidamente insabbiata, perché anche nel degrado la consuetudine è un rifugio sicuro per chi non sa guardare oltre i confini del proprio territorio. Siamo dalle parti del minimalismo cinico e crudele di Raymond Carver, declinato però in un’accezione sociale più prossima alla working class, in virtù della quale il lavoro in fabbrica viene ritratto come il principale agente dell’alienazione dei personaggi e il responsabile di una qualità della vita talmente infima da risvegliare le pulsioni più bestiali. Proprio in virtù di ciò, Bubble appare come una tragedia “vestita” da commedia, che a livello di immaginario sembra ammiccare alla produzione indipendente americana più leggera, mentre i dialoghi risultano spesso stranianti e decontestualizzati rispetto alla narrazione, come un testo di Samuel Beckett. Spiazzano, poi, le dissonanze della colonna sonora composta da Robert Pollard, già frontman della band Guided By Voices (originaria proprio dell’Ohio) e tra i personaggi di culto del rock indipendente americano.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Le nevrosi dell’infanzia

Con Bubble, siamo posti al cospetto di un paio di figure alquanto archetipiche di “minori adulti”. Sia Kyle che in misura minore Rose hanno infatti un’età prossima all’adolescenza, pur conducendo una vita puntellata da responsabilità che dovrebbero attenere a individui più grandi di loro. In particolare Kyle si misura con un universo referenziale particolarmente difficoltoso: figlio del sottoproletariato della provincia americana - quel famoso “ventre molle” della società USA ritratto abitualmente a tinte molto fosche in molta letteratura e molto cinema, da John Steinbeck in poi -, il ragazzo ha immolato la propria adolescenza alle necessità di sostentamento del proprio nucleo familiare, peraltro composto solamente da lui e sua madre. C'è dunque una duplice forma disfunzionale nel modo di vivere l'adolescenza di Kyle: da un lato l'assenza del padre, dall'altro la necessità di farne le veci, surrogandone le funzioni per mezzo di un'occupazione puramente “patriarcale” quale il lavoro in fabbrica. Pienamente adulti sono, d'altro canto, i luoghi abitualmente frequentati dal giovane - la fabbrica, il pub -, così come molto più grandi di lui sono gli individui con i quali Kyle è solito instaurare una rudimentale forma di comunicazione. Tra questi ultimi, un ruolo quasi egemonico sembra averlo assunto da tempo la taciturna Martha, che conversa con lui e gli offre sovente dei passaggi sulla sua auto. Martha è l'esatto contraltare di Kyle, un adulto regredito a uno stadio semi-infantile: vive ancora con suo padre - di cui si prende cura -, il suo unico amico è un ragazzo che ha meno della metà dei suoi anni, i suoi atteggiamenti suggeriscono che non abbia mai esperito alcuna attività sessuale; inoltre, come una bambina capricciosa, ha l'abitudine di feticizzare cose e persone che fanno parte del suo universo referenziale, al punto di provare una forma particolarmente acuta di gelosia nei loro confronti, di cui fanno le spese coloro che violano il perimetro di ciò che ritiene suo esclusivo dominio. Il rapporto fra Kyle e Martha si regge dunque su un duplice cortocircuito semantico, dai tratti piuttosto evidenti: fra i due, è Martha a rivestire i panni del soggetto maschile, sia dal punto di vista morfologico (la corporatura e i lineamenti sono decisamente più “virili” rispetto a quelli dell'efebico Kyle) che da quello comportamentale (è lei la depositaria di uno sguardo ossessivamente fisso, che spesso di posa lubrico sul corpo dell'amico, il quale è in molti casi oggetto passivo dello sguardo altrui); per contro, fra i due l'adulto è Kyle, unico nella “coppia” a rivelarsi scevro di quelle morbosità nei legami interpersonali che denotano uno stazionamento del soggetto in uno stadio prepuberale della personalità. D’altro canto, la disfunzionalità uguale e contraria che caratterizza i comportamenti di Kyle e Martha e che in qualche modo unisce queste due figure, si riflette, per contrasto, con la linearità di Rose, personaggio che viceversa si distingue per delle forme comportamentali molto più univoche e intellegibili. A dispetto della giovane età, infatti, Rose sembra possedere piena coscienza sia della sua identità anagrafica (il fatto di essere una ragazza madre la qualifica in maniera inequivocabile come adulta a prescindere dall’età), sia della sua identità sessuale (cerca di configurare un ménage compiuto con Kyle, anche se i suoi fini sono perlopiù strumentali e utilitaristici). E proprio questa sua estraneità ai complessi meccanismi che regolano il rapporto fra i due amici – nonché, sembra suggerire Soderbergh, fra tutti i membri della comunità – finirà per esserle fatale. Tutto il film è connotato da richiami più o meno espliciti al mondo dell’infanzia, ovvero a quella zona oscura dell’evoluzione dell’individuo con la quale tutti i personaggi principali intrattengono dei rapporti problematici: Rose è una madre in cerca di un individuo in grado di svolgere una funzione paterna, o un simulacro della stessa, per suo figlio; Martha non si è mai liberata dei complessi e delle nevrosi dell’infanzia; mentre Kyle, semplicemente, un’infanzia propriamente detta non l’ha mai avuta. L’immagine che ne scaturisce è quella di un’età smembrata, incompleta, mai esperita in maniera fluida e lineare, lungo un canone di “normalità”; un grumo di senso che viene definitivamente alla luce nelle inquadrature finali che ritraggono l’assemblaggio dei pezzi di bambole nella fabbrica: un’allegoria sottile eppure chiarissima della frammentazione delle personalità che ha investito in maniera fatale i tre protagonisti.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Pur non trattandosi di un’opera adatta a un pubblico di minori, Bubble pone in risalto una serie di spunti contenutistici che, se messi in relazione con un ventaglio più ampio di studi, offrono a insegnanti e ricercatori la possibilità di approfondire alcuni temi di particolare rilievo nell’attuale temperie storica. Ad esempio, il tema della cosiddetta disfunctional family, oltre a essere da anni oggetto di dibattito presso sociologi, psicologi e antropologi, soprattutto in ambito americano, è divenuto negli ultimi tempi uno dei soggetti prediletti del cinema off-Hollywood, dando luogo a volte a opere di notevole spessore come I Tenenbaum (The Royal Tenenbaums, USA, 2001) di Wes Anderson e Il calamaro e la balena (The Squid and the Whale, USA, 2005) di Noah Baumbach: pellicole nelle quali, fra tanti personaggi sopra le righe, viene messo in evidenza come a risentire degli squilibri di un nucleo familiare siano soprattutto i minori, siano essi bambini o adolescenti. Una variante orrorifica di tali temi, in cui l’elemento perturbante è utile soprattutto a definire in maniera ancora più chiara e persino “didattica” i rapporti di causa ed effetto fra lo squilibrio familiare e le nevrosi infantili, è costituita dal meno conosciuto Joshua (id., USA, 2007) di George Ratliff. Sergio Di Lino

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