La guerra dei mondi

20/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Famiglie e relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Steven Spielberg

(Usa, 2005)
 

Sinossi

Ray, operaio specializzato divorziato dalla moglie, deve passare il week-end con i due figli: Robbie di quindici anni e Rachel di nove. Strani lampi nel cielo sembrano far presagire l’arrivo di un imponente temporale, ma le scariche elettriche si concentrano stranamente in un unico punto. Ben presto la terra comincia a muoversi e dai buchi creati dai fulmini fuoriescono enormi macchine che cominciano a seminare morte e distruzione. Si tratta di una vera e propria invasione aliena dove le forze in gioco sono assolutamente impari e l’uomo è destinato a soccombere. Nel tentativo disperato di mettere in salvo i suoi figli, Ray scappa a bordo dell’unica automobile funzionante ma si accorge che le macchine distruttrici sono dappertutto.

Nel viaggio verso la salvezza i tre sperimentano la disperazione e la ferocia degli esseri umani portati all’estremo, la solidarietà, la paura e la frustrazione per non poter fare assolutamente nulla. Ed è proprio questo sentimento che spinge Robbie ad unirsi all’esercito per tentare la lotta e la resistenza. Ray si trova a dover scegliere di proteggere uno dei suoi due figli e decide di rimanere con la piccola Rachel, impaurita, instabile e soggetta a frequenti attacchi di panico. Mentre la distruzione prosegue a ritmo incessante, Ray e Rachel si rifugiano dapprima nella cantina di un personaggio delirante che cerca di organizzare una lotta assurda contro gli invasori, tanto da spingere Ray ad un gesto estremo; poi, catturati nelle enormi gabbie dei tripodi meccanici, i due si liberano con un gesto coraggioso di Ray che riesce a far esplodere una bomba all’interno della gigantesca macchina.

Giunti finalmente a Boston per ricongiungersi con la madre ed i nonni materni, Ray e Rachel notano che le macchine aliene mostrano evidenti segni di cedimento a causa dell’attacco di minuscoli virus terrestri che in breve tempo portano tutti gli alieni alla malattia e alla morte. Svanito il pericolo proveniente dallo spazio, Ray e Rachel possono finalmente riabbracciare i loro famigliari, compreso Robbie, miracolosamente illeso.

Presentazione critica

Introduzione al film

Buoni e cattivi arrivano dallo spazio

Ennesimo capitolo in una filmografia estremamente ampia che conta ormai quasi 30 film, La guerra dei mondi si aggiunge alla già nutrita produzione fantascientifica di Steven Spielberg. Qui Spielberg sceglie di riattualizzare il racconto di H.G. Wells in cui un certo schematismo didascalico riduce tutto il plot ad un semplice scontro tra buoni e cattivi. Diversamente da quanto accadeva nella precedente versione cinematografica realizzata nel 1953 da Byron Haskin, Spielberg punta però sull’emotività spostando l’attenzione sul rapporto tra il padre e i due figli. La costruzione del pathos cinematografico prende sempre le mosse, dunque, dalla sensazione di pericolo percepita dal protagonista. Se la versione del 1953 si inseriva nel contesto della guerra fredda e dello scontro tra civiltà, metaforizzato dalle spettacolari sequenze di scontri tra dischi volanti ed artiglieria pesante, qui sembra prevalere quel senso di paura generalizzata, un senso di vulnerabilità presente negli Stati Uniti a partire dalla ferita dell’11 settembre. Il pericolo arriva dall’esterno ma è in grado di colpire all’interno, servendosi di strutture, le immense macchine sotterrate e disseminate su tutto il globo, nascoste sotto i nostri piedi.

Questo sentimento porta il film ad adeguarsi, in maniera molto più schematica rispetto ad altri film di fantascienza dello stesso autore, ai codici del genere. Oltre al già citato scontro tra buoni e cattivi, che Spielberg aveva già elegantemente messo in discussione con i suoi Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e con E.T. l’extra-terrestre (1982), diventano centrali le scene di distruzione, l’inutile tentativo dell’uomo che cerca di opporsi con qualsiasi mezzo alla disintegrazione del proprio pianeta, il ricorso massiccio ad effetti visivi estremamente spettacolari ed efficaci. L’attenzione dedicata all’aspetto emotivo dei protagonisti porta però il film a marciare su due binari paralleli non sempre in un equilibrio perfettamente bilanciato. L’evoluzione interiore di Ray, raccontata minuziosamente dal regista, mette inevitabilmente in secondo piano una serie di particolari della vicenda che rimangono confusi e fuori fuoco: la logica della distruzione rimane piuttosto inspiegabile così come il tema del sangue utilizzato come fertilizzante per strane piante rosse; l’estremo gesto di Ray che arriva ad uccidere il proprietario del seminterrato diventa poco comprensibile; infine il ribaltamento che porta ad una conclusione forzatamente positiva è fin troppo repentino.

Indiscutibile, invece, l’abilità del regista nel gestire tutti i mezzi tecnici a disposizione per creare sequenze straordinariamente emozionanti (si prenda su tutti il terrificante climax crescente del primo tripode che sbuca dal terreno). Un professionismo che porta Spielberg a tentare strumenti e linguaggi sempre nuovi, affiancato da una squadra ormai rodata e da produzioni mastodontiche che garantiscono standard di assoluta eccellenza.

IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE

La scoperta del padre

Robbie e Rachel, i due coprotagonisti del film, hanno rispettivamente quindici e nove anni. La loro età non viene dichiarata esplicitamente, ma i due mostrano segni evidenti del momento della crescita che stanno attraversando: Robbie ha l’atteggiamento strafottente tipico dell’adolescenza, una continua tendenza alla sfida nei confronti dell’adulto ed una spiccata propensione per la disobbedienza; Rachel, invece, cerca di dimostrare di essere ormai autonoma e indipendente ma in realtà qualsiasi responsabilizzazione la mette in crisi. Il rapporto tra i due è piuttosto armonico, con Robbie che si mostra affettuoso e protettivo nei confronti della sorella minore, mentre Rachel sembra contare molto più sul fratello piuttosto che sul padre che presumibilmente è piuttosto assente e disattento. Nella situazione di estremo pericolo in cui si trovano affidati al padre, le reazioni dei due ragazzi sono estremamente diverse.

Robbie da un lato si sente responsabile della sorella e vorrebbe assumere il controllo della situazione, anche perché diffida fortemente delle capacità del padre che si rifiuta di vedere come un modello. Allo stesso tempo sente però anche la responsabilità di una situazione problematica che va ben al di là della sua ristretta cerchia familiare e delle sue limitate possibilità. Il suo desiderio di intervenire, inspiegabile ed imprudente da un punto di vista più maturo, non è altro che un’evidente manifestazione di quel desiderio di essere adulto ed assumersi le proprie responsabilità tipico del periodo adolescenziale. Tuttavia nel percorso che lo porta a fuggire dalla famiglia per compiere quello che ritiene essere il suo dovere nei confronti della patria si può riscontrare un meccanismo molto simile a quello che porta spesso gli adolescenti a fuggire di casa. Insoddisfatto del ruolo di figlio costretto a seguire il padre ed obbedire alle sue indicazioni, Robbie preferisce mettere a rischio la propria vita per sperimentare l’indipendenza. In quest’ottica il suo ritorno che avviene solo nel finale del film che lo vede assolutamente assente per un buon terzo, non ci svela nulla su quello che Robbie ha fatto durante la sua assenza né sul come sia riuscito a salvarsi, per concentrarsi sulla riconciliazione con il padre in un abbraccio che getta le basi per un rapporto più maturo e più armonico. Rachel è una bambina e si comporta come tale. Inizialmente è molto spaventata perché non riesce a capire quello che sta accadendo e vede i suoi punti di riferimento, il fratello maggiore e il padre, spaesati quanto lei. L’estrema drammaticità della situazione la porta ad attacchi d’ansia che solo con una specie di training autogeno Robbie riesce a farle passare. Rachel si aggrappa saldamente al fratello perché non riesce a vedere nel padre un adulto in grado di occuparsi di lei ed, in effetti, il padre dà evidenti dimostrazioni di conoscere poco i figli e di avere poca dimestichezza con l’educazione. Tuttavia l’istinto paterno è forte ed altrettanto forte il desiderio di proteggere sia Robbie che Rachel. La bambina coglie questa trasformazione del padre e si affida progressivamente a lui, mentre il fratello maggiore prende l’assurda deriva della salvezza dell’umanità. Ray assume un atteggiamento protettivo che tende a tutelare Rachel dalla visione di immagini di eccessiva violenza, a proteggerla dall’inevitabile precipitare degli eventi. Nel padre scopre una persona saggia e affidabile, una presenza costante che progressivamente le infonde, pur nella tragicità della situazione, fiducia e speranza. Il confronto tra Ray e il neo-marito della mamma, uomo di successo stabile e maturo, progressivamente diventa sempre meno squilibrato. Nel finale Rachel si rende conto dell’impresa straordinaria compiuta dal padre ed arriva ad apprezzarne il coraggio e l’affetto.

 

Ludovico Bonora

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