di Nicholas Philibert
(Francia, 2002)
SINOSSI
Georges Lopez, un maestro giunto ormai al termine della sua carriera, insegna in una classe unica che ospita fanciulli di età variabile dai quattro agli undici anni nel villaggio di Saint Etienne sur Usson, in una zona isolata dell’Alvernia, in Francia. Il film illustra la quotidianità di questa scolaresca, riunita intorno al proprio maestro per imparare a scrivere con una calligrafia leggibile, per convivere serenamente senza la comprensibile conflittualità fra compagni, e per portare a termine un ciclo di studi nonostante le difficoltà dell’isolamento della zona e quelle di apprendimento. Ma le immagini mostrano anche una famiglia riunirsi in tutti i suoi elementi attorno ad un compito che pare irrisolvibile, i fanciulli che esprimono ciò che vorranno fare da grandi, i colloqui tra il maestro e i genitori, le difficoltà ad aprirsi di alcuni ragazzi, la visita alla scuola media che alcuni degli allievi frequenteranno l’anno successivo, il dialogo con uno studente il cui padre dovrà essere sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, l’incoraggiamento nei confronti di chi, al termine dell’anno, dovrà frequentare la scuola media in un ambiente diverso, sconosciuto. Al termine dell’anno, dopo aver augurato delle buone vacanze agli allievi in uscita, il maestro rimane solo sulla soglia della classe, privo dell’allegra vitalità che ha sempre contraddistinto l’atmosfera scolastica, e un moto di commozione si impadronisce della sua figura.
ANALISI
Lo sguardo sensibile
Nicholas Philibert è un documentarista francese, nato a Nancy nel 1951, non del tutto conosciuto in Italia prima di Essere e avere, nonostante quest’ultimo sia il settimo film di una carriera iniziata nel 1978 con La voix de son maître (con la coregia di Gérard Mordillat), in cui dodici imprenditori, faccia alla macchina da presa, illustravano il loro personale concetto di progresso e sviluppo. A questo lavoro sono seguiti La ville Louvre, nel 1990, inconsueta illustrazione della vita del celebre museo nel momento in cui il pubblico non è presente, Le pays des sourdes, nel 1992, immersione dentro i codici comunicativi dei non udenti, Un animal, des animaux, nel 1994, che mostra la riapertura della galleria zoologica del Museo di Scienze Naturali di Parigi dopo venticinque anni di chiusura, La moindre des choses, nel 1996, sui degenti della clinica psichiatrica di La Borde come pretesto per una riflessione sul labile confine tra follia e presunta normalità, e Qui sait?, nel 1998, viaggio insieme ad una compagnia teatrale nell’allestimento di una rappresentazione sulla città di Strasburgo. Essere e avere è un’altra tessera nella complessa semplicità con cui Philibert realizza il suo cinema: l’interesse del regista, ancora una volta, è quello di far penetrare lo spettatore all’interno degli ambienti che fanno da scenario alle sue illustrazioni documentaristiche per permettergli di “abitare” la scena andando oltre la ripresa e assumendo in prima persona ciò che i personaggi, sempre reali, fanno, dicono e vivono. Dopo aver deciso di parlare del mondo dell’istruzione nei luoghi più isolati della Francia, Philibert ha cominciato cercare la scuola più adatta e l’ha localizzata a Saint Etienne sur Usson, in Alvernia, Francia centromeridionale, luogo in cui un unico maestro con trentacinque anni di servizio sulle spalle, venti dei quali nella sperduta località, lavora con immutata lena su una classe unica formata da bambini di età oscillante tra i quattro e gli undici anni. La macchina da presa di Philibert, dopo un’opera di banalizzazione degli strumenti di lavoro – come ha sostenuto lo stesso regista nelle interviste – in virtù della quale i fanciulli non avvertissero più come estranei gli operatori e le cineprese da essi adoperate, si è mimetizzata nell’aula del maestro Lopez e ha intessuto le sue relazioni, i suoi sapidi legami tra le differenti situazioni, facendo perdere il confine tra documentazione della realtà e fiction. Quello che si vede in Essere e avere è un meccanismo complesso attraverso cui una semplice osservazione di interazioni quotidiane si trasforma – quasi magicamente – in emozioni vive e difficilmente dimenticabili. Perché la scuola può essere anche questo.
IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
Uno scambio virtuoso
Durante un attimo, breve, in cui il maestro George Lopez non è tra i banchi della sua aula in mezzo ai bambini che ne caratterizzano la vita, gli operatori e il regista stesso lo interrogano, vis à la caméra, sul suo lavoro e sulla sua esperienza in quella classe unica, sempre più rara nel panorama scolastico europeo, anche se in Francia permane in alcuni luoghi isolati. Nonostante la serietà dell’uomo e del docente, dimostrata a più riprese nel corso della pellicola (e, quindi, nel corso di un anno scolastico documentato con una dovizia di particolari e con fedeltà quasi maniacale), il maestro Lopez confessa un segreto fondamentale per qualunque insegnante svolga con passione ed entusiasmo il suo lavoro con i ragazzi: lo scambio di reciprocità che si realizza con gli allievi in virtù del quale un insegnante fornisce il suo sapere e le sue competenze per farle apprendere ai suoi studenti, ma questi ultimi rispondono con l’attenzione, l’umanità, la sensibilità della loro età e del loro entusiasmo verso le cose nuove ed interessanti apprese, arricchendo a loro volta l’insegnante di tutta quella freschezza e di quell’affettuosa eccitazione che soltanto i ragazzi soddisfatti sanno restituire. La conferma arriva in una delle ultime inquadrature del film, quando, al termine dell’anno scolastico, il maestro, fermo sulla soglia dell’aula, augura delle buone vacanze ai suoi allievi che, uno per uno, stanno lasciando l’aula per uscire al caldo sole estivo: rimasto solo, il maestro, guardando fuoricampo l’allontanarsi dei suoi ragazzi, alcuni dei quali l’anno successivo frequenteranno le scuole medie, è sorpreso in un moto, fermo ma intensissimo, di commozione che restituisce insieme la statura dell’uomo e la sua fragilità in relazione all’affetto provato per i fanciulli e per il suo lavoro. Le lacrime del maestro entrano quindi in relazione con tutta una serie di lacrime versate dai ragazzi, alcune reali, altre semplici sfoghi di insoddisfazione momentanei: Jojo spinto nel giardino da Johann, l’alunno più piccolo che, disperato, chiede a pieni polmoni l’arrivo della madre, le lacrime di Nathalie, chiusa nel suo mondo personale e inaccessibile, quelle di Olivier preoccupato per la malattia del padre a cui dovrà essere asportata la laringe, sono l’immagine di quei piccoli e grandi drammi quotidiani con cui un insegnante e gli allievi di una classe fanno inesorabilmente i conti all’interno di una realtà vissuta intensamente in prima persona con grande dispiego di partecipazione emotiva. È in questo che si realizza lo scambio, lungo l’asse di affetto, sentimento e umanità che inevitabilmente lega un insegnante che ama il suo lavoro, serio e pacato nel suo incedere didattico ed educativo (si veda la fermezza con cui affronta il suo lavoro), a studenti pronti a spiccare il grande balzo verso la vita, con le gioie e le immancabili avversità cui andranno incontro. Il film di Philibert, attraverso la sensibilità di immagini che restituiscono l’emozionante bellezza del quotidiano, la stupefacente versatilità di bambini che si comportano con una naturalezza estrema, incuranti del mezzo di riproduzione, ha appunto il grosso merito, tra gli altri (ne citiamo solo due: il testimoniare una realtà differente come quella della classe unica, oppure quello di donare uno spontaneo lirismo ad azioni minimali e ordinarie viste e vissute mille volte), di far comprendere che l’insegnamento non è un impiego come altri, ma un’emozione unica che va vissuta con passione e soddisfazione ogni singolo giorno.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Essere e avere, per la sua tipologia, può essere inserito in una film-list che comprenda anche Diario di un maestro di Vittorio De Seta (1972), in cui un insegnante introduce una metodologia particolare e diretta per far presa su una difficile scuola romana, Ricomincio da oggi di Bertrand Tavernier (1998), racconto di un direttore d’asilo francese in una zona con notevoli problemi sociali e all’invisibile ma straordinario A scuola di Leonardo di Costanzo (2003), docufiction sui conflitti e le difficoltà all’interno di una scuola napoletana. Tutte queste pellicole mettono l’accento sulla difficoltà dell’insegnamento a causa di problemi che esulano dalla didattica, per investire dinamiche più complesse e ampie come lo sviluppo, le aspettative sociali e quelle per il futuro. (GF)
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