Le chiavi di casa

17/07/2009 Tipo di risorsa Schede film Temi Relazioni familiari Disabilità Titoli Rassegne filmografiche

di Gianni Amelio

(Italia, 2004)

Sinossi

Gianni ha poco più di trent'anni e vive a Milano dove si è sposato ed ha avuto un bambino che ora ha pochi mesi. Quindici anni prima gli era nato un altro figlio, Paolo, dall’unione con un’altra donna, morta di parto proprio nel darlo alla luce. Gianni, scioccato dagli eventi, aveva rifiutato il bambino, lasciandolo a Roma presso gli zii materni. Paolo adesso ha quindici anni e soffre fin dalla nascita di un forte disturbo psicomotorio: su consiglio dei medici, gli zii (ovvero i suoi genitori adottivi) decidono di affidarlo a Gianni per un breve viaggio durante il quale potrà conoscere il padre e forse trarne giovamento. La meta è Berlino città nella quale Paolo si reca periodicamente per sottoporsi a delle terapie in una clinica specializzata. Qui Gianni entra in contatto con la triste realtà dell’handicap e della malattia anche grazie a Nicole, una donna sensibile che da vent’anni accudisce Nadine, la figlia disabile, che con lui si confida riuscendo al tempo stesso a rivelare alcuni aspetti della loro comune condizione che il giovane aveva sempre ignorato o eluso nel suo tentativo di rimozione. Malgrado alcune incomprensioni il rapporto tra padre e figlio lentamente si consolida, anche perché Gianni inizia a riconoscere in Paolo la capacità di agire autonomamente, quando, malgrado l’handicap, il ragazzino si allontana dal padre per un intera giornata perdendosi nella metropoli. Il tempo del viaggio sta per finire e negli ultimi giorni a sua disposizione Gianni decide di accompagnare Paolo in Norvegia per permettergli di incontrare Kristin una coetanea conosciuta via internet. Ormai convinto di poter badare al figlio, Gianni pensa alla possibilità di condurlo a vivere con sé e, in un momento di euforia, getta dal traghetto che li sta portando in Norvegia la stampella alla quale Paolo si appoggia. Giunti a destinazione scoprono che la scuola presso cui pensavano di incontrare Kristin è chiusa e decidono di proseguire il loro viaggio in automobile. Lungo il tragitto Gianni propone al figlio di tenere il volante per gioco, ma Paolo, che vuol fare a modo suo, rischia più volte di far finire la macchina fuori strada. Gianni perde la calma, d’un tratto ha un crollo psicologico e, fermata la vettura, fa scendere Paolo e comincia a piangere. Sullo sfondo desolato del paesaggio nordico padre e figlio si abbracciano…

Presentazione Critica

Corpi in viaggio

Nella prima sequenza in cui compare, Paolo pronuncia una frase emblematica dal punto di vista dell’approccio al film da parte del pubblico: “Do fastidio?”. Questa battuta, rivolta ad alcuni passeggeri che si trovano sul treno che lo sta portando insieme al padre a Berlino, per chiedere se la musichetta del videogame al quale sta giocando arrechi loro disturbo, viene pronunciata da Paolo verso la macchina da presa e, per così dire, “cade fuori campo” (dato che l’inquadratura dei suoi ipotetici interlocutori, non ci viene mostrata), dunque sembra rivolta proprio al pubblico in sala. lo sa bene: quella di Paolo è sicuramente una presenza che “dà fastidio”, che disturba e provoca lo spettatore, la sua pazienza, perfino la sua resistenza fisica viene messa alla prova dagli estenuanti sforzi che il ragazzino (interpretato da un vero disabile, Andrea Rossi, cui il cineasta ha chiesto di accentuare il suo handicap per adattarlo alla sceneggiatura) compie per camminare, mangiare, lavarsi, portare a termine anche la più semplice delle azioni. Un disagio e una distanza cercate ostinatamente dal regista per raffreddare il film che, toccando due tematiche difficili come la paternità rifiutata e la disabilità, avrebbe rischiato di scadere continuamente nel patetico. Un film sobrio, dunque, e al tempo stesso animato dalla tensione prodotta dal rapporto tra i due protagonisti, che conosce certamente delle punte drammatiche (nel dialogo di Gianni con la madre di Nadine o nel finale, illusorio prima e straziante poi) ma che, allo stesso tempo, il regista sente il bisogno di contenere anche, ad esempio, attraverso le ambientazioni. A dispetto del titolo che evoca proprio la casa e, con essa, una dimensione familiare, affettivamente stabile, Le chiavi di casa è interamente ambientato su mezzi di trasporto (treno, metropolitana, autobus, nave, automobile), all’interno di luoghi di transito (stazioni, strade, piazze) o nei quali sono la provvisorietà e la precarietà a dominare (ospedali o alberghi, come quello di Berlino dalle cui finestre si vedono passare continuamente dei treni, quasi a raddoppiare il senso di temporaneità del rapporto tra padre e figlio). Ancora un film fatto di viaggi, per Gianni Amelio, dopo il suo esordio alla regia con La fine del gioco e poi con Il ladro di bambini, Lamerica e, in parte, con Così ridevano. Una dimensione, quella del viaggio, che ha assunto la funzione di un vero e proprio principio strutturante all’interno dei film del regista impostati sullo spaesamento dei personaggi, una condizione che permette di presentare questi ultimi più vulnerabili e quindi anche più sensibili agli stimoli esterni nonché ai vari incontri che si presentano loro innanzi. Lo spostamento nello spazio, difatti, consente di fermare il tempo dei personaggi, bloccare le loro esistenze per sottoporle a un continuo tentativo di bilancio, agevolato anche dalla presenza di altri personaggi che spesso assumono un valore emblematico, che travalica il primo livello di lettura delle loro parole, dei loro gesti ed azioni. Per questo, più che sviluppare un vero e proprio racconto o una narrazione (tanto la terapia in ospedale quanto la ricerca di Kristin si risolvono in un nulla di fatto) Le chiavi di casa è un film che analizza i piccoli eventi messi in scena e si affida all’osservazione dei gesti dei due interpreti più che prestare ascolto alle loro parole, ovvero ai loro corpi (diversissimi e incomparabili) in quanto segni che hanno importanza di per sé, come testimonianze di una determinata realtà colta nel suo farsi e non come facenti parte di una vera e propria catena significante di azioni e reazioni prestabilite.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

False partenze

Oltre al topos narrativo del viaggio, a caratterizzare i film di Gianni Amelio è spesso la partenza del racconto da una situazione già disgregata, compromessa, spesso irrimediabilmente (è il caso, ad esempio, di La fine del gioco e di Il ladro di bambini). Da questo punto di vista la condizione dei due personaggi di Le chiavi di casa non potrebbe essere più pregiudicata: uniti dal legame più forte – quello tra padre e figlio – sono in realtà due sconosciuti, divisi dal dolore, dal senso di colpa, dalla distanza creata dal tempo e dalla loro diversità. Il regista ha affermato di aver voluto dare al personaggio del padre il proprio nome – Gianni – per assumersi la responsabilità di una figura antipatica agli occhi del pubblico, ma ha fatto ancora di più scegliendo come interprete Kim Rossi Stuart, uno degli attori italiani che, al di là delle capacità recitative, è conosciuto anche per la sua bellezza. In un film che si affida soprattutto al linguaggio dei corpi, che tratta di un legame affettivo anche e soprattutto biologico che, proprio per un errore bio-illogico (il parto fatale per la moglie di Gianni, l’handicap di Paolo) si è interrotto, l’enorme distanza creatasi tra padre e figlio, il senso di estraneità tra queste due esistenze alla deriva è dato anche dal contrasto tra i loro due aspetti esteriori, il padre perfettamente proporzionato, quasi statuario, il figlio “asimmetrico”, teso costantemente in uno sforzo che sembra quello di chi è costretto a mantenersi a galla, fuori da una superficie oscura, insondabile, che tende a risucchiarlo proprio come avviene quando cade preda delle sue crisi. L’intero film è costruito su questo continuo confronto tra chi come Gianni s’è ritratto spaventato – forse perché ancora troppo giovane e debole – di fronte alla malattia (di Paolo) e alla morte (della prima moglie) rifugiandosi in una “normalità” talmente normale da restare totalmente sconosciuta allo spettatore, e chi con il proprio handicap deve fare i conti ogni giorno in una lotta ostinata contro una condanna che, oggi più che mai, pare incomprensibile. Come spesso avviene in questi casi è Gianni l’elemento più debole: in passato ha rifiutato una responsabilità ritenuta troppo angosciante ed ora, poco più che trentenne, accetta i propri obblighi di genitore, più costretto dalle circostanze che perché realmente persuaso della giustezza del suo gesto. È lui che deve “nascere due volte”, come suggerisce il titolo del romanzo di Giuseppe Pontiggia (Nati due volte) al quale il film è ispirato: fino all’episodio dell’automobile l’uomo crede che quel tempo sospeso del viaggio, grazie al quale è riuscito a colmare illusoriamente una distanza abissale con il figlio, sia davvero del tempo recuperato e, anche il gesto fortemente simbolico della stampella gettata in mare, si inquadra all’interno di quella tendenza a rifiutare la malattia che ha connotato fino a quel momento il comportamento di Gianni. In realtà si tratta di una specie di “falsa partenza”, di illusione necessaria per comprendere che, al di là dell’idillio, sarà necessario ricominciare dalle piccole cose quotidiane, le stesse che Nicole indica come elementi indispensabili per evitare di pensare troppo intensamente ad un dramma insormontabile se affrontato tutto in una volta. Paolo, poi, è un adolescente handicappato finalmente diverso da quelli generalmente ritratti dal cinema: rispetto alla consueta rappresentazione del disagio psicofisico basata su un’alternanza di pietà e simpatia, Andrea Rossi riesce a mettere in gioco con totale autenticità la propria condizione non solo per ciò che riguarda (ovviamente) l’handicap, ma soprattutto per la schiettezza, la testardaggine e la vitalità espresse attraverso uno sguardo sempre provocatorio e un linguaggio schietto e ironico. Fabrizio Colamartino  

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).