Unicef, la vita dei bambini immigrati nei paesi ricchi

23/10/2009

Uno sguardo sulla situazione delle famiglie dei bambini immigrati in otto paesi industrializzati: il nuovo rapporto dell'Unicef Innocenti Research Center I bambini di famiglie immigrate in otto paesi ricchi mette a confronto le condizioni di vita, spesso difficili, dei minori immigrati e di seconda generazione.

Australia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti sono i paesi presi in esame nel rapporto: sono quelli dove si concentra il 40% delle persone che, nel mondo, vivono fuori dal loro paese d'origine. E nei quali i bambini e gli adolescenti stranieri si trovano spesso in situazioni di svantaggio rispetto a quelli autoctoni. Secondo il rapporto Unicef-Irc, infatti, il loro benessere, in particolar modo di coloro che provengono da paesi a basso e medio reddito, è compromesso in molti ambiti, tra cui la sanità, l'istruzione, la sicurezza economica e abitativa e le opportunità lavorative.

Nell'ultimo Innocenti Insight, per la prima volta, vengono presentati dati comparabili tra svariate realtà internazionali. Tra gli altri parametri, vengono confrontate le caratteristiche demografiche e socio-economiche, la partecipazione scolastica e l’accesso al mercato del lavoro di bambini e giovani provenienti da famiglie immigrate con quelle dei bambini e giovani in famiglie di nativi.

Lo studio sull’Italia è stato curato da Letizia Mencarini (Università di Torino), Emiliana Baldoni (Università di Firenze) e Gianpiero Dalla Zuanna (Università di Padova) usando come fonti principali il Censimento del 2001 e l’indagine campionaria sui bambini delle scuole medie "Itagen2" del 2006.

Secondo i dati del censimento 2001, i minori presenti sul territorio italiano ma nati all’estero o con almeno uno dei genitori nati all’estero erano oltre 900 mila (circa il 10 per cento del numero totale dei bambini). Complessivamente, nel 2001 i bambini rappresentavano il 23 per cento della popolazione immigrata. Negli anni l’importanza numerica dei bambini in famiglie di migranti nella popolazione residente in Italia è cresciuta. Nel 2006, circa 57 mila nuovi nati in Italia avevano entrambi i genitori stranieri, oltre il 10 per cento delle nascite avvenute nel paese quell’anno. A questi si aggiungono i nati con un genitore italiano e uno di origine straniera, così come     quelli che arrivano in Italia nei nuovi flussi migratori o grazie ai ricongiungimenti familiari.

Una delle caratteristiche salienti della popolazione dei bambini di migranti è il vasto ventaglio dei paesi di origine delle famiglie, uno dei più ampi d’Europa. Le comunità più consistenti nel 2001 erano quelle marocchine e albanesi, ciascuna rappresentando meno del 7 per cento del totale dei bambini in famiglie di migranti rispetto alla preponderanza di nordafricani in Francia, di turchi e russi in Germania o di ex jugoslavi Paesi Bassi.

In media, il 92 per cento dei bambini in famiglie migranti vive con entrambi i genitori, identica percentuale delle famiglie italiane. Tuttavia, la situazione varia: per alcuni gruppi (ad esempio per i figli di genitori provenienti dall’Eritrea, la Somalia, la Moldavia, l’Ecuador o il Perù) la percentuale di bambini che vive in famiglie in cui il padre è assente si aggira o è superiore al 15 per cento.

Anche in Italia il rischio di povertà tende a crescere  con l’aumentare del numero dei bambini presenti nella famiglia. Le dimensioni delle famiglie dei migranti tendono ad essere più elevate e con un maggior numero di bambini. Il 22 per cento dei bambini di migranti (provenienti da paesi a medio e basso reddito) vivono in famiglie con due o più fratelli sotto i 18 anni di età. Per i bambini italiani la percentuale scende a circa il 15 per cento, mentre per i bambini in famiglie migranti provenienti dai paesi ricchi si attesa al 17 per cento.

Circa tre quinti dei bambini stranieri vive in abitazioni sovraffollate. Questo è più evidente nelle famiglie provenienti dal Pakistan, Marocco, Senegal e l’ex Repubblica Yugoslava di Macedonia (oltre l’80 per cento); i tassi più bassi invece sono registrati per le famiglie originarie dalla Comunitàdegli Stati Indipendenti (circa un terzo vive in condizioni abitative sovraffollate). La percentuale di bambini immigrati che vivono in famiglie proprietarie della propria abitazione si attesta al 50 % contro il 66 % dei bambini nelle famiglie italiane. Le percentuali più basse (in media circa il 30 per cento) sono osservate per i bambini di famiglie provenienti dall’Africa e dall’Asia.

Soltanto un quarto dei giovani di età compresa tra 18 e 24 anni che vive in famiglie immigrate segue un corso di studi. La quota degli immatricolati tra i nativi della stessa classe di età è di circa il 40 per cento. I giovani che vivono nelle famiglie immigrate sono più presenti nelle scuole professionali e riescono ad accedere a posti di lavoro poco qualificati.

I tassi di attività economica tra le madri dei bambini migranti sono elevati, per molti paesi di provenienza sono più elevati rispetto alle madri dei bambini nativi. Tale indice riflette anche il gran numero di donne straniere che lavorano nell’ambito dell’assistenza e dei servizi domiciliari (madri dall’Africa centrale, Est Europa e Filippine). Spesso tali impieghi sono part-time. In altri casi, come madri nord-africane, medio orientali e dell’Asia del Sud, i tassi di lavoro sono molto bassi.

Tirando le somme, le autrici dello studio sull'Italia scrivono: «In Italia, come del resto in gran parte dei paesi industrializzati, le migrazioni sono protagoniste di importanti cambiamenti della società. bambini in famiglie migranti rappresentano una realtà importante, variegata, con molte potenzialità (anche per le società di accoglienza) e allo stesso tempo poco conosciuta. Le sfide lanciate dall’immigrazione in Italia sono sostanziali. Tuttavia, poche ricerche e raccolte di dati sono state effettuate sulle condizioni di vita dei bambini in famiglie di migranti. Si sa poco sulla loro salute e sul loro grado di inclusione sociale. Gli scarsi dati disponibili sono stati raccolti principalmente attraverso piccoli studi realizzati a livello locale in pochi contesti. Le risposte politiche sembrano realizzate “ad hoc”, non sono ben coordinate e non riflettono una visione o un coordinamento d’insieme». (mf)